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Bersani canta vittoria ma il Pd perde voti E i suoi lo stroncano

Il segretario esulta: "Abbiamo vinto, cose da pazzi". Il partito non è con lui: "L'unico dato storico è quello della protesta..."

Bersani canta vittoria ma il Pd perde voti E i suoi lo stroncano

Si entusiasma, Pierluigi Bersani, e c'è da capirlo: la vittoria di Sicilia è innanzitutto un tonico potente per la sua campagna delle primarie contro Matteo Renzi, e poi ridà fiato a quello che il segretario del Pd chiama «il nostro schema», ossia l'alleanza con i centristi dell'Udc, che l'ultima svolta berlusconiana risospinge verso sinistra.
Ma il boom di astensioni e di voti a Grillo rende il futuro assai incerto, e più d'uno, anche nel Pd, spiega che con i risultati di Palermo e il rischio di ingovernabilità che prefigurano, in realtà, «si riavvicina il Monti bis» e non il governo Bersani. C'è anche chi, come Peppe Fioroni, invita il leader Pd afare lui il primo passo e incoronare direttamente il Prof: «Coraggio Bersani. Ora serve un'alleanza riformisti-moderati. Invita Monti a scendere in campo guidando i moderati. Serve questo per salvare l'Italia».
«Abbiamo vinto in Sicilia, cose da pazzi», annuncia Bersani in piazza ad Arezzo, dove si trova per il tour delle primarie. «Per noi si tratta di risultati storici», aggiunge. «L'unico dato storico è la protesta», gli ribatte Arturo Parisi. «Il fatto che due terzi dei siciliani abbiano preferito astenersi o limitarsi alla protesta rende ridicola ogni altra lettura».
Fino a venerdì scorso, i sondaggi commissionati dal Pd davano in testa il candidato Musumeci, anche se la sua coalizione era indietro rispetto all'alleanza Pd-Udc. «Si può ipotizzare un effetto Berlusconi sugli elettori centristi», diceva ieri sera Andrea Orlando, uno dei principali «giovani turchi» bersaniani, «c'era il forte timore che gli Udc non votassero per il “comunista” Crocetta, ma i toni duri della conferenza stampa del Cavaliere in extremis li hanno spinti a scegliere il male minore e votarlo».
Certo il risultato di lista del Pd è tutt'altro che trionfale: tra il 13 e il 14 per cento, a cinque punti dal dato del 2008 pari al 18,8%, superato dall'exploit dei grillini e poco più su del devastato Pdl. Bersani e i suoi però si affrettano a precisare che il 7% della lista Crocetta è tutto «sangue del nostro sangue», come dice Orlando, quindi voti che vanno sommati direttamente a quelli del partito di cui sarebbe filiazione. Ergo «siamo noi il primo partito», rivendica il segretario.
Resta però il dato gigantesco dell'astensione, e la marea montante del voto «di protesta» dei 5 Stelle che spolpa la sinistra di Sel e Di Pietro. «Siamo l'unico punto di tenuta in mezzo a uno tsunami», dice Bersani. Ma il deputato filo-Renzi Andrea Sarubbi prova a proiettare il dato di Crocetta sul nazionale: «Il 31% del 47% di elettori: sarebbe come se in Italia tutta la coalizione prendesse 7,5 milioni di voti. Mentre nel 2008 il Pdl ne prese 13,6; il Pd 12 milioni». Un quadro poco incoraggiante, per un partito che si candida a governare.
Un quadro che, secondo alcuni, rende più che mai necessaria una riforma della legge elettorale: «Questo risultato apre problemi per tutti i partiti, e sembra più probabile una liquidazione del Porcellum», sostiene Claudio Petruccioli. Ma i bersaniani sono convinti che il Porcellum resterà, visto l'attuale «caos parlamentare», e che la coalizione vincente incasserà un premio che, almeno alla Camera, la renderà autosufficiente. Non ci sarà bisogno in quel caso di imbarcare Vendola nelle proprie liste, ma una Sel drasticamente ridimensionata dal voto siciliano «non è più un problema nei confronti di Casini». Il casiniano Lusetti annuisce: «Certo, il risultato siciliano è un ottimo viatico per l'alleanza con il Pd, come d'altronde voleva Casini quando ha imposto il candidato Crocetta a Bersani». Ma il dopo elezioni è tutto da vedere: «Noi continuiamo a volere il governo Monti, col programma Monti, anche dopo il voto».
Niente Bersani premier? «Potrebbe essere un ottimo ministro dell'Economia», scherza (forse) Lusetti. In casa Pd sanno bene che il rischio è questo, e forse lo stesso Bersani lo mette in conto quando dice: «Teniamo presente la classifica: prima l'Italia, poi il Pd, poi le ambizioni delle persone».

Lui incluso.

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