«Mi trovo d'accordo con il Financial Times, su Monti: è il candidato che piace alla signora Merkel», dice Massimo D'Alema. La bocciatura del Professore da parte del quotidiano della City è tutt'altro che sgradita al Pd, anzi costituisce un buon assist in campagna elettorale. Peccato però che il commentatore del Financial Times non risparmi critiche al candidato premier del centrosinistra, e che descriva come quasi inevitabile, dopo il voto, un tandem Bersani-Monti che provocherebbe «una probabile paralisi» dell'Italia. Anche se in serata, con un nuovo editoriale apparso sull'edizione on line, il Ft aggiusta il tiro oltre che sul premier anche su Bersani, auspicando che con Monti sfrutti «il voto per portare avanti l'idea di un nuovo inizio».
Se Monti non è the right man, neanche il segretario del Pd suscita grande ottimismo: «Ha sostenuto l'austerità» che il commentatore del Ft rimprovera a Monti, anche se «recentemente ha cercato di prendere le distanze da tali politiche». Sulle riforme strutturali, poi, Bersani «è stato ancora più evasivo». I temi della sua campagna elettorale vengono così sintetizzati: «una tassa sul patrimonio, la lotta contro l'evasione fiscale e il riciclaggio e i diritti dei gay», oltre al fatto che «sostiene che l'Italia debba rimanere nella zona Euro». Poi una piccola concessione: «C'è la possibilità che Bersani abbia più successo nel fronteggiare la Merkel» rispetto a Monti, in quando si trova «in una posizione migliore per collaborare con Hollande, presidente francese e compagno socialista». Ma è una possibilità «marginale». E l'incertezza del quadro italiano, a leggere i sondaggi, fa pensare appunto ad una «probabile paralisi», con una coalizione Pd-Monti ma un Senato che potrebbe essere «addirittura a maggioranza di centrodestra», per cui «ognuno avrebbe diritto di veto» e «nessuno avrebbe il potere di attuale una politica efficace». Quadro fosco, insomma. Ma a fare i titoli sono le affermazioni drastiche su Monti, e dunque al Nazareno nessuno si preoccupa granché del giudizio sul candidato Pd.
Bersani, intanto, si ritrova con il problema che molti, durante le primarie, avevano preconizzato: il centrosinistra resta in testa nei sondaggi, ma il grande vantaggio accumulato durante la gara con Renzi si erode un po' ogni giorno (anche se, dopo il caos liste vissuto ieri dal Pdl, ora si spera in una rapida rimonta); regioni chiave come Lombardia, Veneto e Sicilia continuano a vedere favorito il centrodestra e, soprattutto, il Pd continua a non sfondare quota 30% e dintorni (nel 2008, con Veltroni, era al 33,1%). E molti, nel partito, tra i simpatizzanti e sul web, iniziano a porre con insistenza la domanda che ieri si leggeva sul sito di Repubblica, e che ha scatenato una valanga di commenti e adesioni: «Cosa aspetta Bersani a tirare fuori Renzi e ad affidargli le chiavi della campagna nel profondo Nord, in Veneto e Lombardia? O li dà già per persi?». Qualcuno, come Pippo Civati, invita il segretario a dar vita con lui a un ticket di emergenza: «Lo candidi come vicepremier». Ipotesi che Renzi non prende neppure in considerazione: «Resto a Firenze e faccio il sindaco, come avevo promesso se avessi perso - ripete - ma ho detto a Pier Luigi che sono a disposizione per dare una mano a vincere le elezioni». Peccato che, per ora, nessuno lo abbia chiamato, e non risultano iniziative nazionali che lo prevedano a fianco del segretario.
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