È un Bersani rinfrancato e di nuovo attivo, quello che riemerge dall'uno-due delle presidenze. Ieri solo la giovane segretaria di un circolo Pd, a Brescia durante un incontro pubblico, lo ha fatto rabbuiare quando dal palco gli ha detto chiaro che il partito «ha perso perché non ha saputo rispondere alle domande di cambiamento», e lo ha incalzato sull'abolizione del finanziamento pubblico: «Non possiamo continuare a dire ni». Poche ore dopo, il Pd ha messo online sul suo sito una proposta di «superamento del finanziamento pubblico» attraverso «un sistema di piccole contribuzioni private».
Bersani, metabolizzato lo choc della debacle, è risalito in sella, e sta già lavorando al «suo» governo. E, soprattutto, alla sua prossima campagna elettorale. È convinto che a questo punto riuscirà ad ottenere un incarico pieno e vuole arrivare a presentarsi in Parlamento: «Ormai Napolitano è talmente stufo di Monti che è pronto a sostituirlo subito, anche solo per la normale amministrazione», dice un bersaniano. Per questo Bersani ha voluto ad ogni costo depennare Anna Finocchiaro dalla presidenza del Senato, nonostante le fortissime resistenze nel partito: «Lei - spiega lo stesso interlocutore - era la pedina chiave del piano B, quello di D'Alema, che prevedeva un governo istituzionale su cui c'erano già i voti della Lega, per l'esecutivo prima e il Quirinale poi».
Ma Bersani sa anche che ottenere una maggioranza vera e funzionante, anche se arrivassero un po' di dissidenti grillini e si riconquistassero i voti montiani, è speranza evanescente. Dunque, vuole un «pacchetto di mischia» che gli consenta di arrivare al voto in estate (in silenziosa convergenza d'intenti con Berlusconi), da premier, sia pur di minoranza, e da candidato. Sbarrando la strada all'unica alternativa che lo terrorizza, Matteo Renzi, e schivando le primarie, o depotenziandole: ieri è rimasto interdetto quando, nell'intervista a Sky, gli è stato chiesto se si sarebbero fatte in caso di voto a giugno: «Vedremo, non saprei, comunque le abbiamo fatte anche a Natale, siamo collaudati».
Si lavora ad una lista di nomi che rappresenti «il meglio della sinistra in cachemire di Repubblica», come ironizza un Pd ex Margherita. Nomi «capaci di mettere in crisi i grillini, come è successo per Grasso»: Zagrebelsky, Rodotà, Saviano. Più una spruzzata tecnica d'alto profilo (Saccomanni) più ministri uscenti come Barca, più le indispensabili donne. Una lista da cui potrebbe uscire anche il prossimo candidato al Colle, sul quale nel Pd c'è una sola certezza: «Non sarà mai un nome potabile per il Pdl, su questo Bersani vuole andare giù netto». Tagliando fuori, nei suoi intenti, D'Alema, Amato ma anche lo stesso Napolitano. Non a caso la risposta alle avance di Alfano è stata secca: «No a scambi indecenti». L'obiettivo è di cancellare ogni sospetto di inciucio, mettere in crisi il mondo grillino, ed arrivare alle elezioni potendoli indicare come i veri «ostacoli al cambiamento», per riprendersi i voti che M5S gli ha scippato a valanga. Un ex Pd rieletto con Monti, Alessandro Maran, nota: «Con il 25% dei voti vogliono prendersi le tre prime cariche dello Stato, il governo e anche mandare in galera il capo dell'opposizione. Qualcuno nella Ue potrebbe iniziare a preoccuparsi per l'Italia».
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