Bersani esulta, ma hanno vinto gli altri

Bersani esulta, ma hanno vinto gli altri

Roma«Abbiamo vinto, senza se e senza ma», dice Pier Luigi Bersani. E, conti alla mano, è difficile dar torto al segretario del Pd: i candidati del centrosinistra vincono in 92 comuni su 177, in 18 capoluoghi su 26, raddoppiando rispetto alle scorse amministrative e allargandosi finalmente anche in partibus infidelium: dalla Lombardia al Piemonte ruba piazze storiche alla destra e alla Lega divise e sbaragliate nelle urne.
Eppure la faccia tesa del segretario in conferenza stampa, che avverte: «Non consentiremo il simpatico tentativo di rubarci la vittoria» e i furibondi battibecchi tv di Rosy Bindi con i giornalisti mostrano un gran nervosismo, dietro la soddisfazione con cui si canta vittoria. E la certezza con cui dai piani più alti del Pdl si vedono «più vicine le elezioni, perché Bersani vuole provocarle» testimonia della fretta che a questo punto ha lo stato maggiore Pd di andare all’incasso, prima che sia troppo tardi.
Quella che Gianni Cuperlo chiamava alla vigilia «la micidiale doppietta Pa-Pa», Palermo&Parma, finisce per oscurare tanti successi ritenuti - a torto o a ragione - più marginali. Debora Serracchiani lo ammette senza giri di parole: «Non nascondiamo la testa sotto la sabbia: il risultato di Parma offusca ogni altra vittoria del Pd».
Da Bari le fa eco il sindaco Pd Michele Emiliano, che - dopo la storia delle cozze nella vasca da bagno - si leva una soddisfazione: «Spero che Bersani e D’Alema ammettano che li avevo avvertiti: la lista civica nazionale composta dall’Italia migliore è indispensabile».
A metterci il carico da undici per irritare Bersani c’è il sindaco di Firenze, Matteo Renzi. Che non solo irride ai compagni di partito che «sostengono di aver stravinto ma vivono nell’iperuranio»; ma torna nuovamente a chiedere per ottobre le primarie per la premiership, che Bersani vorrebbe tanto evitare. «Se il candidato del Pd è considerato meno credibile del grillino», dice Renzi, «qualche domanda il partito se la deve fare: il sistema dell’usato sicuro è in pensione, la gente preferisce un salto nell’ignoto». Un attacco diretto al segretario che Bersani non manda giù. «Basta con la giaculatoria sulle primarie - sbotta - se i nostri compagni di strada converranno di farle, non abbiamo nessun problema. Abbiamo il copyright delle primarie. Non c’è problema».
Il Pd vince molto, insomma, «anche a Garbagnate», rivendica Bersani, ma si ritrova assediato da ogni lato e nelle tre città più visibili incassa sconfitte brucianti e tutte a sinistra (a Parma con il grillino Pizzarotti e a Palermo col redivivo Orlando), o vittorie su cui è complicato mettere il cappello come a Genova. Dove «avremmo vinto al primo turno con Marta Vincenzi, nonostante tutte le sue pecche», come rimpiange Ugo Sposetti, se nel Pd non si fosse aperta una guerra fratricida (anzi, sorellicida) tra la sindaca uscente e la parlamentare Roberta Pinotti, che ha portato alle primarie vinte dall’outsider Marco Doria, appoggiato da Sinistra e Libertà e ieri eletto sindaco.
I problemi all’orizzonte sono molteplici: la crescita allarmante dell’astensionismo che devasta Pdl e Lega ma toglie ossigeno anche al Pd; l’avanzata di un movimento estraneo agli schieramenti tradizionali come quello di Beppe Grillo che mette a rischio la tenuta del centrosinistra; lo scarso appeal dimostrato dall’alleanza tra Pd e centristi (a Comacchio, dove il partito bersaniano aveva rotto con Idv e Sel per allearsi con l’Udc, ha stravinto un altro grillino); gli alleati potenziali che dettano condizioni. Già, perché Nichi Vendola e persino Tonino Di Pietro, che è uscito con le ossa rotte dalle urne ma grazie al trionfo di Orlando (che l’ex pm aveva in verità tentato di non far candidare) rialza la cresta, chiedono a gran voce di mollare il governo tecnico e chiudere subito l’accordo sulla «macchina da guerra» per le politiche. Sposando senza più se né ma quella «foto di Vasto» che sta sullo stomaco a mezzo Pd. «Il dopo Monti comincia oggi», dice il governatore della Puglia. Mentre Di Pietro rivendica: «Gli italiani hanno rilanciato la foto di Vasto».
Ma è l’exploit di Grillo e il modo in cui «verrà usato contro di noi» a preoccupare lo stato maggiore del Pd.

Dove circola il sospetto che «qualcuno» voglia appaiare Pd e Pdl nell’unico tritacarne dell’antipolitica, e prepararsi a «rubarci la vittoria» che Bersani e i suoi vedono già scritta alle prossime elezioni. Il Pd deve vincere la tentazione di «dormire sugli allori», avverte Paolo Gentiloni: «Ci sono dei casi in cui anche dei numeri positivi devono spingere a riflettere, questo è uno di quei casi».

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