Bersani non sfonda nelle Regioni rosse ma regge grazie al Sud

"È un successo stratosferico, le primarie le ho volute io". Ma intanto teme il faccia a faccia di mercoledì su Raiuno

Il segretario del Partito democratico, Pierluigi Bersani
Il segretario del Partito democratico, Pierluigi Bersani

Roma - «Una giornata strepitosa, non me la si rubi perché la ho voluta io». Pierluigi Bersani spunta sugli schermi tv dopo le 23,un po’ staz­zonato dal tour de force degli ultimi giorni e dalla tensione delle ultime ore, e rivendica il suo merito. Perché è vero che queste prima­rie record da 4 milioni le ha chieste Renzi, ma è stato lui (che a norma di statuto aveva la no­mination in tasca) ad averle volute, fortissi­mamente e contro gli stessi big del suo parti­to. Tanto che lo stesso Renzi, dal suo comita­to, chiama l’applauso per ilsegretario e dice: «Onore al merito per lui, che le ha fatte fare». Bersani si dice certo di un «ottimo risulta­to », e da Parigi il segreta­rio del Psf lo rassicura: «Vincerà al secondo tur­no, come Hollande». Ma il leader del Pd sa bene che ora, con il ballottag­gio, si apre una partita tut­ta nuova, e per lui molto ri­schiosa. Una settimana di fuoco, che culminerà nei faccia a faccia in tv (il primo mercoledì, il pri­ma serata su Raiuno) e può far partire dinamiche difficili da control­lare da parte di quell’apparato che si è com­pattamente schierato a fianco del segretario.
Il nervosismo che ieri sera si mostrava al quartier generale Pd sulle regole del ballot­taggio testimonia la preoccupazione dei suoi: i renziani annunciano battaglia per aprirlo anche ai nuovi elettori, i bersaniani si impuntano: vota solo chi è andato al primo turno. Sarà scontro duro. E la veemenza con cui Rosy Bindi, in tv, si scagliava ieri sera con­tro il sindaco di Firenze e minacciava rese dei conti la dice lunga sullo stato d’animo con cui la vecchia guardia ex Pci ed ex Dc guarda all’eventualità di una scalata renziana: «Le primarie servono per decidere la premier­ship del centrosinistra, non il segretario o gli
organismi del Pd», avverte Bindi. Come dire: se anche vince le primarie, Renzi non pensi di poter mettere le mani sulla nostra macchi­na. «E non chieda posti in lista per i suoi», ag­giunge. Ma sui social network , tra i militanti del Pd anche bersaniani, si scatena il tiro a Ro­sy: «Se la fate parlare ancora si perde».
Il ballottaggio era un’eventualità razional­mente messa in conto, tanto che da giorni il segretario del Pd lo ripeteva; ma che in segre­to si augurava di potersi risparmiare: quegli ultimi sondaggi tutti in crescita, che lo dava­no ad un passo dal 50%, avevano riacceso qualche speranza. Una grande partecipazio­ne, un successo per un partito che«sa sconfig­gere l’antipolitica », come sottolinea il bersa­niano Giuntella, ma l’affluire dei dati, con una forbice di soli 7-8 punti tra i candidati, alza l’allarme in casa bersa­niana; e scombina non di poco la geografia politica del partito. Perché gran­di città, Nord e financo re­gioni rosse danno risulta­ti clamorosi per Renzi, che sfonda anche in stori­che roccaforti Pci e nella Toscana del suo arcine­mico Rossi, mentre la vera base di «appara­to » del partito si sposta tutta sotto la linea goti­ca. Campania, Calabria, Puglia sono i soli ser­batoi sicuri dell ’establishment Pd, e questo non è esattamente rassicurante, in vista del secondo turno e anche per questioni di im­magine. Gennaro Migliore, di Sel, riconosce: «Il fatto che il segretario non abbia vinto al pri­mo turno è già un terremoto. E ricordiamo che nel Sud storicamente si vota meno, e che dopo le primarie ci saranno le elezioni».

An­che i calcoli matematici su a chi andranno i voti del “terzo incomodo” Nichi Vendola so­no assai aleatori: «Attenti a fare trasferimenti automatici- avverte il renziano Paolo Genti­loni - perché molti non andranno a rivotare, ma molti potrebbero scegliere un candidato diverso da quello dell’apparato».

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