Bersani non spacca il Pd Le regole delle primarie saranno a misura di Renzi

Roma«Nei prossimi mesi la scena sarà solo loro: di Bersani, di Renzi, di Vendola». La notazione buttata lì da Paolo Gentiloni, a conclusione della tormentata assemblea Pd che ha dato il via alle primarie, spiega perché fino alla fine gli «ultimi giapponesi» a rischio sparizione, in testa Rosy Bindi, abbiano tentato di impedire che l'intesa Bersani-Renzi sulle regole reggesse.
Invece l'intesa ha tenuto, il segretario Pd ha praticamente imposto a Bindi, Marini e compagnia di ritirare gli emendamenti con cui volevano blindare le primarie, scoraggiando la partecipazione attraverso astruse gabole burocratiche, ed è uscito dall'assemblea con un voto praticamente unanime e tra gli applausi dei supporter di Renzi: «Abbiamo fatto bene a fidarci di Bersani», dice Roberto Reggi, coordinatore della campagna del sindaco di Firenze. «C'era intorno a lui chi remava contro, ma noi ci siamo fidati della sua parola e ora per la prima volta ci saranno primarie realmente contendibili».
Un annuncio di vittoria che deve aver fatto saltare la mosca al naso a Rosy Bindi, presidente dell'assemblea uscita sconfitta dal voto di ieri (solo otto suoi «fedelissimi» hanno votato contro le proposte di Bersani), che ha convocato le telecamere per smentire i supporter di Renzi e anche il segretario: «Sento girare strane interpretazioni, vorrei che fosse chiaro che gli emendamenti sono stati ritirati solo perché è comunque stabilito che l'iscrizione all'albo degli elettori termina la domenica del primo turno, e chi non si è iscritto per tempo non può partecipare al secondo». A meno che, aggiunge con tocco surreale, «non possa dimostrare che era ammalato, o all'estero». I bersaniani sbarrano gli occhi quando le parole della presidente vengono riferite: «Veramente ha detto così?», chiede sarcastico un membro della segreteria. «Ha anche detto che ha visto un meteorite cadere sul Colosseo?». Roberto Speranza, coordinatore della campagna di Bersani, è più diplomatico: «Non ho sentito la Bindi, comunque fa testo quel che ha detto il segretario e che ha votato l'assemblea».
«Bersani è stato molto coraggioso e leale. Ma questi altri sono terrorizzati, se lui tratta con Renzi e ci si mette d'accordo loro non esistono più», mormora Giorgio Tonini, un altro di quel gruppo di veltroniani che guardano con simpatia a Renzi. «Loro» sono tutti quegli esponenti della nomenklatura Pd, dalla Bindi a Franco Marini a (con più cautela) Dario Franceschini, che fino a ieri pomeriggio hanno lavorato perché dalle assise Pd uscisse un regolamento delle primarie che limitasse il più possibile l'affluenza alle urne, e quindi le chance di vittoria di Renzi. «Sono della linea “meno siamo meglio stiamo”, se riuscissero a far partecipare alle primarie 300 persone anziché 3 milioni sarebbero felici», scherza il renziano Andrea Sarubbi. Fino a qualche giorno fa, Bersani sembrava convinto che una severa blindatura fosse necessaria, e aveva dato l'imprimatur al pacchetto di regole bulgare studiate dai fidati Migliavacca e Stumpo: può votare solo chi si iscrive in anticipo e in luogo diverso dai «seggi» ad un pubblico registro degli elettori di centrosinistra; e partecipa al secondo turno solo chi ha votato al primo. Renzi si è opposto duramente, facendo balenare un clamoroso ritiro dall'impatto devastante per il Pd; Vendola ha fatto sapere che con quegli sbarramenti non ci stava neppure lui; big come Veltroni e Fassino si sono spesi per regole più ragionevoli, avvertendo Bersani: «Non puoi tenere su questa linea, sarebbe un boomerang». Oltretutto, ha spiegato Fassino anche ieri all'assemblea, «le regole devono servire a portare milioni di persone a votare, non a tenerli lontani. Anche perché più la partecipazione è larga, minori sono i rischi di inquinamento». E Bersani, facevano notare in molti ieri, conta su macchine organizzative potenti e supporter importanti, come dimostrava la presenza in prima fila di ben tre leader passati e presenti della Cgil: Camusso, Cofferati, Epifani.


«Se facciamo bene le primarie, non ci ammazza più nessuno», chiosa soddisfatto a fine giornata il segretario, sollevato dagli esiti di una difficile assemblea e dall'aver scongiurato il rischio di spaccature. A combattere ancora nella giungla restano solo i giapponesi.

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