Politica

Bersani non vuole mollare ma rischia l'incarico trappola

Il leader dei democratici prova a sbarrare la strada a Grasso e insiste a corteggiare il M5S. I suoi fedelissimi: l'esecutivo tecnico è la nostra fine

Il segretario del Partito Democratico Pier Luigi Bersani al Quirinale
Il segretario del Partito Democratico Pier Luigi Bersani al Quirinale

«Il Partito democratico è pronto a dare una mano per una soluzione, ma non una soluzione qualsiasi», esordisce Pier Luigi Bersani al termine del lungo colloquio con il capo dello Stato.
Cosa intenda per «qualsiasi» lo spiega quando dice che «una soluzione senza la possibilità di cambiamento porterebbe il Paese in guai peggiori», e con quella parolina che nei discorsi del segretario del Pd è diventata una specie di mantra, «cambiamento», Bersani intende Grillo. Ossia: il Pd non è disponibile a partecipare ad alcuna maggioranza di qualunque governo che non sia appoggiato anche dalle truppe del comico genovese. Il quale dal canto suo ha già detto che non darebbe la fiducia ad altri che ad un governo Cinque Stelle doc, e che non parteciperà a maggioranze di salvezza nazionale. Ergo, l'ipotesi di un governo guidato dal presidente del Senato Grasso, che metta insieme una maggioranza parlamentare formata dal Pdl (che si è detto disponibile), dal Pd e dai montiani, che ieri ha galleggiato per tutta la giornata nelle chiacchiere del Palazzo, sembra affondata davanti al niet di Bersani.

Le ragioni le argomentava senza giri di parole il «giovane turco» Matteo Orfini, che in questa fase è in sintonia con quello che pensa il suo segretario: «Noi non siamo in grado di reggere in alcun modo e sotto alcuna forma, governo tecnico, istituzionale o politico che sia, una maggioranza insieme al Pdl. Perché qui dentro ci spaccheremmo, e soprattutto perché nel paese sarebbe la morte definitiva della sinistra italiana, e regaleremmo a Grillo un'autostrada per le prossime elezioni». Quindi, avverte Orfini, chiunque pensi a questa soluzione sappia che dovrà fare i conti con «un nutrito gruppo di noi, che qui siamo almeno 50, che dirà no a qualsiasi ipotesi del genere: molto meglio andare a votare a luglio».

Oggi sarà Napolitano a far sapere quali conclusioni ha tratto dal suo primo giro di consultazioni. Il presidente si è preso una nottata di tempo prima di dire la sua, ben consapevole del complicatissimo puzzle di veti incrociati che ha davanti. E nel Pd, tra gli esponenti della fronda che sta montando contro il segretario (accusato di avere «un unico piano A: far precipitare tutto verso le elezioni a luglio, in silenziosa convergenza con Berlusconi. Con un'unica differenza: Berlusconi vuole andare al voto ma sa che sarà ancora e sempre lui il candidato, Bersani spera di essere lui ma non lo sarà») si ipotizza che la prossima mossa del presidente possa essere proprio quella di conferire a Bersani un incarico con riserva. «Nella consapevolezza - dice un dirigente Pd fautore delle larghe intese - che così lo manda a sbattere, perché non ha i numeri, e lo leva di mezzo». Liberando quella ampia fetta del Pd che, secondo molti, sarebbe pronta a far partire un esecutivo «di scopo» che metta in calendario riforme e provvedimenti anti-crisi e che porti il paese al voto nel 2014, con le elezioni europee.

Il problema, spiega un altro esponente del Pd, è che «se Napolitano ora si riprende la palla e dà un incarico a Grasso, che ovviamente non aspetta altro, il Pdl è pronto a dire sì, o magari ad organizzare un marchingegno per cui danno via libera alla Lega di votarlo e loro si limitano ad uscire dall'aula. E noi finiano nel casino totale: già mi vedo il film, una di quelle nostre assemblee che diventano psicodrammi, con metà gruppo che dice “sì” e l'altra metà che dice “mai”». Scenari apocalittici. Su una sola cosa, comunque, sembrano tutti d'accordo nel Pd: «Eleggendo Grasso abbiamo creato un mostro.

Che come al solito ci si rivolta contro».

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