Roma - Il messaggio viene articolato con toni diversi, in diversi contesti. Ma se a ripeterlo sono il segretario (e premier in pectore) del Pd, dal suo vice, e pure dall'organo ufficiale del partito, non ci sono dubbi che lo si voglia far arrivare a destinazione.
Pier Luigi Bersani lo ha detto anche martedì alla direzione Pd che ha varato le liste elettorali: «Dopo il voto cercheremo un'intesa col centro, anche se fossimo autosufficienti sia alla Camera che al Senato». Ieri è stato il turno di Enrico Letta: «Il Pd vuole vincere le elezioni, poi guarderemo al risultato in Parlamento e valuteremo le scelte da fare sulle alleanze, ma il nostro primo interlocutore sarà sicuramente la lista Monti». Quanto all'Unità, l'argomentazione ieri era affidata all'«ideologo» dei Giovani turchi, Francesco Cundari, che chiamava Monti alla «prima responsabilità» della prossima legislatura: «La ricostruzione, insieme al centrosinistra, delle basi della democrazia parlamentare disegnata dalla costituzione, deformata in questi 20 anni» da un bipolarismo col marchio di Berlusconi.
Le avance del Pd al Professore offrono su un piatto d'argento al Pdl l'occasione per denunciare il «grande inciucio» che si prepara e per derubricare Monti a «stampella» di Bersani. E sicuramente al Pd non spiace che il polo montiano venga dipinto come futura ancella della sinistra. Bersani usa la carota ma anche il bastone col «competitor» centrista: «Voglio capire contro chi combatte, e se lavora per togliere le castagne dal fuoco a Berlusconi», attacca riferendosi alla candidatura Albertini.
Ma il vero destinatario del messaggio sulle future intese è un altro, ed è l'alleato Nichi Vendola, e anche l'ala più sinistra del suo partito, a cominciare da quella che fa capo alla Cgil. «Bersani è realista, vuole andare a Palazzo Chigi e durare per tutta la legislatura, quindi mette la mani avanti: la sua è una pedagogia preventiva verso Sel, perché non possa poi dire che se ci si allea coi montiani si rompono i patti», spiega un dirigente Pd. Sicilia e Lombardia, oltre che la Campania, sono regioni in cui il risultato è ancora tutto aperto, e da cui dipenderà la maggioranza al Senato. E Bersani non ha alcuna intenzione di far la fine di Romano Prodi, che ieri preconizzava cupe analogie col 2006. Il leader Pd sa che con una manciata di senatori in più non si fanno riforme né manovre economiche pesanti, e dunque mette subito in chiaro con Vendola che l'accordo con il centro sarà necessario. Come e in cambio di che, saranno solo le percentuali elettorali a stabilirlo.
Il leader di Sel, e gli anti-Monti del Pd sono dunque avvertiti: liberi ora di attaccare il Professore da ogni lato e di accusarlo di ogni nefandezza, ma quando si tratterà di metter mano al governo del Paese la musica dovrà cambiare. Non a caso il segretario ha lavorato per avere, dietro la composita prima fila di «esterni» di grido, che coprono ogni fronte politico dalla sinistra radical di Tronti al liberismo di Galli passando per le sacrestie, una solida maggioranza interna di bersaniani doc nei gruppi parlamentari. E ha ancora un po' di posti liberi da distribuire, per tener buoni i socialisti (che ieri gridavano alla violazione dei patti per averne avuti solo tre), i tabacciani e - si spera nel Pd - quel Lombardo che in Sicilia può fare la differenza.
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