Roma - La campanella dell’ultimo giro era suonata dopo la lettura dei primi verbali del faccia a faccia governo-parti sociali. Allarme generale per l’intera dirigenza del Pd. Se dobbiamo dirla tutta, non tanto per questioni teoriche e la prevedibile divaricazione in atto tra «ala destra» (Letta, Follini, Fioroni, Merlo) e «postcigiellini» (Fassina e Damiano), che avrebbe fatto implodere il partito e forse neppure impedito che un decreto del governo fosse in ogni caso approvato dal Parlamento.
La verità più profonda, allo stesso tempo più semplice e più cruda, è che con una riforma del lavoro del genere e le Amministrative alle porte, tanto valeva chiudere subito la baracca e involarsi per Tibouctou (dove da anni aspettano il Walter). Così il segretario Bersani era stato inviato in fretta e furia in tivù a fare la faccia feroce: «Con noi non si può mica dire prendere o lasciare, eh? Con noi si discute, eh?». Più che un’intemerata a Monti, con la minaccia (debole) di mettere in crisi il governo, si trattava di un «May day-may day» lanciato urbi et orbi, ma con spiccata propensione a indirizzarsi verso il Colle più alto. Il susseguirsi degli eventi ha dimostrato che la ciambella di salvataggio al comandante Schettino del Pd è poi giunta. E senza neppure che De Falco-Napolitano avesse bisogno di precisare: «Risalga a bordo, cazzo!».
Il Bersani, di scendere dalla sua nave Discordia, non ha intenzione alcuna. Si constaterà oggi alla Direzione del partito, convocata da tempo sul tema più pressante, le Amministrative, che però negli ultimi giorni ha rischiato di diventare il processo al segretario per aver portato il Pd sugli scogli. Indossate tutti le cinture di salvataggio, non ci sarà molto da temere. Al fine di rasserenare il clima, è stato fatto scendere in campo persino Monti a Cernobbio: il premier ha voluto la Camusso alla sua destra in un pranzo di lavoro, quasi a volersi ritagliare un ruolo autonomo da quello dell’odiatissima Fornero (con la Camusso, un vero e proprio duello di Ph acido).
C’è da presentare il segretario meno solo e il Pd «non nell’angolo». Cosa che Piero Fassino ha già dichiarato ieri. Oggi, invece, Enrico Letta si presenterà in Direzione definendosi, dopo Cernobbio, «più ottimista sulla riforma del lavoro». Non solo, anche convinto che «l’unità del Pd è fondamentale per far andare avanti il governo Monti». Sottolineare l’equazione unità del Pd = sopravvivenza del governo, appare a tutti l’alchimia in grado di tenere in piedi la baracca. Un altro «destro», come Giorgio Merlo, ha scelto la stessa strada di moderazione, predicando il «no a estremismi, nostalgie e subalternità ai sindacati». In sordina resteranno voci ancora più «radicali», tipo quella di Marco Follini, ieri costretto a difendersi dall’accusa di non avere, nei confronti del governo, «la schiena dritta e il coraggio di correggere ciò che non va». La linea unanime - dopo che attorno al segretario si sono stretti a falange D’Alema e Veltroni, Bindi, Letta e Marini - potrebbe oggi così prender corpo in un pieno mandato al segretario a perseguire tutte le strade parlamentari che conducano la riforma verso il «modello tedesco». E a ripetere, con la presidente Rosy Bindi, che «così com’è l’articolo 18 non potrà mai essere approvato».
Schermaglie in politichese a parte, si guadagnerà il tempo necessario a preparare e gestire come si può la campagna per le Amministrative. C’è da tranquillizzare un popolo pidino ormai allo stremo.
Un popolo che, senza più nemmeno cinghia di trasmissione della Cgil, rischia di liquefarsi. Scrive Bersani sulle sue pagine in Rete, «c’è sempre una buona ragione per fare politica». La prima delle quali è prender voti. Altrimenti si va a casa senza reintegro.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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