Roma - «Andare a vedere il bluff di Berlusconi», anche perché altrimenti «rischiamo di restare col cerino acceso in mano», e sulle spalle la colpa di non aver fatto le riforme.
Se le dichiarazioni ufficiali, tambureggiate ieri da tutto lo stato maggiore del Pd, sono sulla linea: «Non c’è più tempo per fare il semi presidenzialismo, è solo un imbroglio di Berlusconi e Alfano», dietro le quinte c’è grande agitazione, e più di un dirigente di spicco manda a dire a Pier Luigi Bersani che arroccarsi dietro il «non si può fare» è pericoloso. Lo stesso capogruppo del Pd alla Camera, Dario Franceschini (da anni sostenitore del sistema francese), è convinto, per una volta in sintonia con Arturo Parisi, che si debba «andare a vedere il gioco» del Cavaliere, e sfidare il Pdl a farla davvero e subito, la riforma che favoleggia: il tempo per «mettere subito in cantiere il doppio turno elettorale» c’è, e se in questa legislatura non si riesce a completare l’architettura costituzionale ispirata al semi presidenzialismo d’Oltralpe, «si rinvierà alla prossima».
In realtà, sostengono gli addetti ai lavori del Pd, che da mesi si scervellano attorno alle riforme, il tempo per fare sia la riforma elettorale che quella istituzionale c’è tutto, basta volerlo. È quello che sostiene anche il presidente del Senato Renato Schifani. Il tempo tecnico c’è. A questo punto la variabile è la volontà politica. Se Pd e Pdl si mettono d’accordo, hanno i numeri necessari (la maggioranza dei due terzi del Parlamento) per varare qualsiasi riforma della Costituzione, di qui al prossimo anno. E la proposta messa (strumentalmente, sono convinti al Nazareno) sul tavolo da Berlusconi e Alfano è esattamente quella caldeggiata dal Pd: il maggioritario a doppio turno è, ufficialmente e per voto dell’assemblea nazionale, il sistema elettorale preferito dai democrat. Dopo il trionfo di Hollande in Francia, poi, il semi presidenzialismo è diventato di gran moda anche tra i big del Pd. Veltroni lo sostiene da anni, D’Alema l’altro giorno nell’intervista a l’Espresso lo ha detto chiaro e tondo: «Se c’è un sussulto di buon senso, la via maestra su cui tornare è quella del doppio turno. E se venisse proposto il modello francese, il semi presidenzialismo, l’elezione diretta del presidente della Repubblica, non avrei nulla in contrario». In fondo, ha ricordato, era la ricetta della «sua» Bicamerale. Con queste premesse, sarebbe logico aspettarsi che il Pd sposi lesto e con entusiasmo la proposta. Invece ha subito aperto un fuoco di sbarramento: «Non vediamo le condizioni politiche né i tempi per affrontare credibilmente la questione da qui alla fine della legislatura», ha tagliato corto Bersani. Avanzando un sospetto: «Viene da pensare che attraverso questa via non si voglia fare nulla». Però anche il segretario lascia aperto un minimo spiraglio: «Non riteniamo un tabù discutere di presidenzialismo, purché non sia un pretesto per non fare niente».
Segno che al Nazareno si stanno ancora vagliando tutte le ipotesi, prima di attestarsi definitivamente nella trincea del «no»: il timore, rivelato dalla capogruppo al Senato Anna Finocchiaro, è che con questa uscita il Pdl di Berlusconi sia riuscito a «buttare la palla in tribuna», ossia nel campo Pd, e si stia preparando a «fare la campagna elettorale» con l’ accusa agli avversari di bloccare una riforma che gode di indubbia popolarità nell’opinione pubblica.
Per questo Paolo Gentiloni è convinto che «di qui a martedì», giorno in cui si riunirà la direzione del Pd, la linea potrebbe cambiare.
E Luciano Violante incalza: «Sarebbe un errore chiudere la porta in faccia al Pdl».
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