I primi effetti del boom di Grillo si vedono: dopo gli 8 punti cinquestellati del programma post-elettorale di Bersani (mancano solo l'uscita dall'euro e la rinuncia al finanziamento pubblico), anche la «diretta streaming» della Direzione nazionale in programma per domani. Un appuntamento quasi sempre (e inutilmente) a porte chiuse, e che stavolta sarà mandato in onda, per far vedere che anche il Pd è una casa di vetro, e non ha paura di far ascoltare le sue discussioni.
Peraltro, devono aver pensato al Nazareno, un dibattito a porte aperte non può certo danneggiare il segretario, anzi: se qualcuno aveva una mezza idea di criticare la sua linea e suggerire che sarebbe meglio lasciar fare a Napolitano e vedere se può nascere un bel governo del Presidente (coi voti del Pdl), ora difficilmente lo farà. Per non parlare di quelli che pensano sia ora che Bersani prenda atto della batosta e si faccia da parte, o che intendevano far le pulci alla sua campagna elettorale o attaccare le intemperanze verbali dei suoi «Giovani Turchi».
Insomma, se già nessuno pensava che alla Direzione di domani sarebbero successi sfracelli, ora ce ne è la certezza. Ma i problemi sono tutt'altro che risolti, e persino l'Unità, a pagina 3, ieri titolava sulla «tensione tra Pd e Quirinale».
Una tensione che il vertice Pd non si cura più di celare, anche perché, cominciano a far notare - con scarsa eleganza - alcuni bersaniani doc, il mandato di Napolitano è agli sgoccioli, e per l'elezione del suo successore il Pd sarà determinante: i numeri dei Grandi elettori, tra parlamentari e delegati regionali, dicono che bastano il centrosinistra e i montiani a sceglierlo.
Insomma, lo schema di gioco che hanno in testa, nel bunker bersaniano, è di tenere duro sull'aut aut: incarico al segretario per un sempre più improbabile (nonostante in campo a mediare ci siano nientemeno che i Fo, Don Gallo e - si dice - Prodi) governo con Grillo o niente, chiudendo nettamente a ogni subordinata (governo tecnico, del Presidente, governissimo), e tirarla in lungo fino a quando Napolitano dovrà scendere dal Colle, e ci salirà un nuovo Presidente nella pienezza dei suoi poteri, innanzitutto quello di sciogliere le Camere.
E Bersani, se, riuscirà a reggere fino ad allora, sarà necessariamente in pole position anche per la prossima campagna elettorale, giaguaro o non giaguaro. Gran parte del Pd ha i sudori freddi alla sola idea, e implora di lasciar lavorare liberamente Napolitano (alla cui «grande saggezza» invita ad affidarsi anche D'Alema) senza forzarlo, ma difficilmente uscirà allo scoperto mercoledì. Renzi ancora non ha deciso se esserci o meno, e ieri ha sconvocato la riunione dei suoi parlamentari per evitare accuse di fronda, ma i suoi già scalpitano: «Mi rassicura il fatto - dice Matteo Richetti - che un'eventuale intesa non sia nelle mani di Bersani e di Grillo ma nelle mani del Capo dello Stato». E incalza: «Se si vota tra sei mesi, è legittimo che Renzi si possa proporre agli elettori».
Intanto l'avanzata di Grillo produce un altro risultato, e in casa Pd ne fa le spese Rosy Bindi: l'ufficio di presidenza uscente della Camera aveva sul tavolo della prossima riunione la assunzione di trenta collaboratori dei suoi membri (Fini, i suoi vice, i questori e i segretari), di cui due in quota Bindi.
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