La sua prima giornata da pre-incaricato, Pierluigi Bersani la inizierà con un funerale. Alle 11, il segretario del Pd parteciperà infatti alle esequie del capo della Polizia Manganelli, prima di dare il via alle proprie consultazioni. Le terrà nel Palazzo di Montecitorio, nella sala - ironia della sorte - denominata «del Cavaliere», e le aprirà con le parti sociali, Cgil in testa e poi Confindustria, Confcommercio (che proprio ieri ha reso pubblici i suoi dati sulla crisi e sui 4 milioni di «assolutamente poveri» previsti per quest'anno), anziché con i partiti politici, che sentirà da lunedì, per poi tornare da Napolitano a sciogliere la riserva forse già martedì. Una scelta che il candidato premier ha voluto fare, quella di ampliare il suo giro di colloqui, per rafforzare il suo tentativo e «far salire la pressione attorno alla necessità di dar vita subito ad un governo che affronti la crisi e prenda in fretta le misure necessarie», come spiega il giovane turco Matteo Orfini. Una «pressione» che, nelle intenzioni di Bersani, dovrebbe far smuovere qualcosa in campo grillino, rendendo più difficile il «niet» all'unico possibile governo di sinistra.
Il Pd assiste in silenzio al difficile tentativo del suo leader: si notava ieri una quasi totale assenza di dichiarazioni di giubilo o di sostegno dalle file del suo partito, gli unici a sbilanciarsi erano gli alleati Tabacci e Vendola, il quale chiariva i limiti, a suo giudizio, che Bersani si deve dare: serve un esecutivo di «alto profilo e di grande cambiamento». E soprattutto «va esclusa qualsiasi ipotesi che possa far immaginare un appoggio da destra, a partire dal conflitto di interessi e dalla legge sulla corruzione, ma anche sulle ricette di politica economica». In serata arriva l'auspicio di Renzi: «La strada è stretta, spero che ce la faccia. Certo, è difficile dar torto a Berlusconi quando dice deve parlare con noi».
Il silenzio del Pd si spiega anche così: perché - come sintetizza un esponente di primo piano, «Napolitano ha incastrato Bersani in un'alternativa micidiale: o è lui, che fino a ieri ha detto mai col Pdl, a fare un governo di unità nazionale con Berlusconi, oppure il capo del governo non lo farà mai. Perché è chiaro a tutti, e a Pier Luigi per primo, che se fallisce questo tentativo non ci sono le elezioni subito, come lui voleva, ma parte un altro treno, tecnico o istituzionale, con larghe intese e traguardo al 2014». Persino un fedelissimo di Bersani, come Davide Zoggia, ammetteva con alcuni colleghi di partito che «se non ce la fa non si va a votare e difficilmente sarà lui il futuro candidato».
Visto il no di Grillo, l'unico serbatoio cui Bersani potrebbe rivolgersi per trovare quella quindicina di senatori necessari è il recinto del centrodestra, che Berlusconi ha provveduto a blindare insieme alla Lega, e che difficilmente concederà credito al segretario Pd (attraverso i complicati giochi di astensioni, uscite dall'aula e gruppi di finti dissidenti che votano la fiducia su cui ieri qualcuno si avventurava, nel Pd) per ottenere in cambio una fantomatica neo-Bicamerale sulle riforme. E Napolitano ha spiegato chiaramente che, prima di mandarlo in Parlamento a prendere la fiducia, vuole numeri certi. Recidendo la speranza bersaniana di ottenere dal Colle un incarico pieno subito, che gli consentisse di mettere direttamente il Parlamento davanti alla sfida. Per lunedì, Bersani ha convocato le assemblee dei suoi parlamentari, per «valutare l'incarico ricevuto da Napolitano».
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