Factum lex, non sententiam notat: la legge considera il fatto, non l'intenzione, sostenevano i latini. No, non è così, almeno nell'italica «culla del diritto». Qui vige il contrario. La non intenzione «annulla», o quasi il reato. Era il 4 giugno 2013, un torrido martedì, quando Andrea Albanese, trentanovenne controller di gestione, dimenticò in auto, alla periferia di Piacenza, suo figlio, Luca, 2 anni. Avrebbe dovuto lasciarlo al nido prima di entrare al lavoro. La fretta, la stanchezza, chissà cos'altro, fatto sta che un micidiale destino trasformò quel black out mentale in tragedia. Il piccolo mori «scordato» sul seggiolino, tra le lamiere roventi della Citroen di papà parcheggiata sotto l'ufficio e trasformata in forno. «Quel giorno non feci nulla per mettere a rischio la vita di Luca. Se mio figlio fosse morto in un incidente stradale perché viaggiavo ad alta velocità o perché avevo bevuto troppo, probabilmente mi sarei sentito più in colpa per aver provocato la disgrazia con un'azione consapevole. Invece accadde qualcosa di cui non ho coscienza, non ho avuto il controllo di ciò che stava succedendo. Non serve certo a non farmi star male, ma è andata cosi...», si sfogò lui, in una sorta di outing sulla stampa, tre mesi dopo. Le stesse parole ripetute poi al giudice per le indagini preliminari Giuseppe Bersani e agli psichiatri. Insomma una fatalità, un'insondabile buco nero nella memoria, un'inspiegabile dimenticanza e non una colpa uccisero Luca. Le perizie, ora, gli danno conforto, lo stesso che non gli ha negato nemmeno la moglie. Paola, lei la prima che avrebbe potuto odiarlo, accusarlo, voltargli le spalle.
«Al momento del fatto Andrea Albanese era completamente incapace d'intendere e di volere per il verificarsi di una transitoria amnesia dissociativa», la conclusione «scientifica» di Corrado Cappa, lo psichiatra nominato dal gip per accertare lo status mentale del papà smemorato. La stessa cui era giunto il suo collega Giovanni Smerieri, consulente della difesa. Per entrambi gli esperti, dunque, quella tragica mattina Albanese sarebbe stato colpito da una sindrome transitoria che consiste «nell'incapacità di ricordare eventi e avvenimenti autobiografici circoscritti ad un'area o persona della propria vita». E adesso? Il giudice, come da rito, ha disposto la trasmissione degli atti al pubblico ministero Antonio Colonna titolare dell'inchiesta. Il resto è ipotizzabile e probabile.
A quest'ultimo spetterà una nuova valutazione dei fatti alla luce delle due perizie «assolutorie» e si potrebbe quindi arrivare a chiedere l'archiviazione del caso. Andrea Albanese, stando ai due psichiatri, non è infatti imputabile per l'accaduto. Incapace di intendere e di volere, anche se solo per otto ore. Quasi a dire: il fatto non sussiste.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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