Il bluff della sinistra onesta che non incanta più nessuno

Il bluff della sinistra onesta che non incanta più nessuno

Mentre Monti impartiva la sua lectio bocconiana a Scalfari ed Ezio Mauro nello spazio di Repubblica a Bologna, i dimostranti anti-tutto si scontravano con la polizia: ecco un caso in cui l’informazione, proclamandosi evento, turba la realtà e provoca conseguenze: botte, petardi e gas lacrimogeni. Gli intervistatori erano in verità poco oppositivi e tutto si è svolto secondo la musica, i passi di danza di un noto carillon. Monti a parer mio è riuscito a trasmettere un messaggio inconsueto e forte: l’Europa sta imponendo cambiamenti epocali, benché dolorosi, che richiederebbero la gradualità di molte generazioni. E non si tratta di cambiamenti soltanto di tipo monetario, bancario e tecnico, ma anche civile e umano: parlava della Grecia, ma la percezione di una rivoluzione in atto vale per tutti, noi per primi. La frase più gettonata di Monti: «La Merkel dice che l’Italia ce la farà, ma l’Italia ce la farà non perché lo dice la Merkel». Ovazione rituale.
Ezio Mauro si è chiamato la sua di ovazione con un ragionamento politico che provo a riassumere: ci avete detto che l’articolo 18 va abolito perché gli investitori esteri non vengono in Italia a causa dei vincoli che comporta, ma il tasso di corruzione denunciato da anni dalla Corte dei Conti è un fattore che mette in fuga gli investitori più dell’articolo 18. Ebbene, sostiene Mauro, la destra ostacola la legge anti corruzione chiedendone lo scambio con la responsabilità civile dei giudici. Questo, ha concluso, è un ricatto.
Monti ha risposto con astuzia ribadendo anche che la corruzione colpisce ogni Paese e che ha fiducia di vedere approvata la legge. Ad Ezio Mauro vorrei ricordare la genetica radice della corruzione politica in Italia. La radice sta nel fatto che fino alla fine dei suoi giorni, il partito comunista ha ritirato a Mosca le sue valigette con milioni di dollari consegnate da Ponomariov all’inviato del Pci (Cervetti ha scritto il suo libro testimonianza su questo) che poi le portava a Roma e si recava allo Ior vaticano (testimonianza di Cossiga alla mia commissione d’inchiesta) per cambiare i dollari moscoviti in lire sotto la supervisione di agenti del Tesoro americano, chiamati a controllare che i dollari non fossero falsi. Tutto ciò nella piena connivenza delle autorità di tutti i governi italiani che chiudevano tutti e due gli occhi su una catena di reati - dal finanziamento illecito all’evasione fiscale - con la scusa di preservare la pace sociale e non infastidire i comunisti.
Gli altri partiti, di fronte alla disparità di mezzi nella competizione con un Pci che navigava nell’oro (vedi L’oro di Mosca di Valerio Riva, un testo incontestato e definitivo) ritenevano loro diritto pareggiare i conti mungendo le industrie e il mondo degli affari, le imprese pubbliche e private e finanziarsi a piene mani. Fu questo che Craxi denunciò alla Camera nel suo famoso discorso incontestato al quale nessuno rispose. E se nel Pci si poteva dire con peloso orgoglio «rubo per il partito» come se fosse una virtù, altrove si rubava anche per le proprie tasche e quelle dei figli, delle mogli, degli amanti, delle correnti di partito. Da allora tutto è seguito in un clima di ipocrisie e finzioni, ruberie e ricatti, senza parlare del ruolo delle cooperative. Il tasso di corruzione è molto alto?
Be’, non si può dare a bere che un’Italia altrimenti virtuosa sia infestata da una Banda Bassotti ovviamente di destra che maramaldeggia contro la sinistra virtuosa di cui Repubblica è la guida politica, culturale e il partito anomalo. Monti non è cascato nello schema offerto dal direttore di Repubblica e ci è sembrato sempre molto scaltro ma tutt’altro che freddo e impersonale.
Insomma l’esito finale dell’incontro fra il giornale-non-solo-un-giornale e il presidente del Consiglio si è concluso con una predominanza - non diciamo una vittoria perché non era un match - dell’intervistato sugli intervistatori. Monti è riuscito ad introdurre elementi di larga prospettiva e respiro che finora non gli avevamo sentito. Da parte degli ospiti di Repubblica si avvertiva, al di là della cortesia istituzionale e dei buoni rapporti una certa ansia di rivendicare il ruolo della mosca cocchiera, che Monti ha, con cineserie bocconiane e argomenti di fatto, amabilmente scoraggiato.
Come ho già spiegato ieri ai lettori del Giornale sono poco propenso ad assumere nei confronti di Repubblica un tono sfottente e ridicolizzante sulla scia delle solite accuse che si fanno alla gauche caviar e ai cosiddetti radical chic (espressioni che mi danno l’orticaria soltanto a pronunciarle) perché il giornale fondato da Eugenio Scalfari e diretto da Ezio Mauro (nel tondo), e di cui è proprietario un uomo come Carlo de Benedetti è e resta un esperimento riuscito di egemonia culturale. Lo ricordo perché ho sempre provato un senso di frustrazione per il fatto che la destra italiana, quella che ambisce ad essere moderna e liberale, non solo non è stata mai in grado, ma neanche ha tentato di competere su quel piano e proporre non un’altra egemonia, ma un suo approccio liberale e rivoluzionario alla cultura, che è anche politica, che è anche economia, che è vita collettiva e individuale.

Mi sembra, anche dopo aver preso atto di quel che ieri ha detto Monti sull’Europa e la Grecia (una rivoluzione è in atto e non si tratta affatto di meri meccanismi bancari) che questo sia precisamente il momento di raccogliere l’antica sfida dell’egemonia culturale della sinistra statica e autoreferente, per organizzare la cultura con una ricchezza alternativa a quella ormai trentennale di Repubblica. Ma questa necessità la destra italiana non l’ha mai voluta capire.

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