Il generale Paolo Serra, comandante della missione Onu in Libano, è un veterano di Kosovo e Afghanistan. Il Giornale ha pubblicato le foto in cui decora i soldati di Delhi, parte del contingente delle Nazioni Unite, mentre i nostri due marò erano in galera in India.
Generale ci può indicare la data esatta della consegna delle medaglie ai soldati indiani?
«Martedì 27 marzo. Quale comandante di Unifil, presenzio a tutte le cerimonie di consegna dell'onorificenza Onu per la partecipazione dei contingenti alla missione».
Ci spiega cosa rappresenta questo riconoscimento?
«È una medaglia di partecipazione. Dopo 90 giorni di servizio nella missione (in Libano ndr) viene conferita la medaglia commemorativa Onu».
Lei porta il basco blu ma indossa la divisa italiana, come Latorre e Girone. Non pensa che sarebbe stato meglio congelare i rapporti con i soldati indiani dato che i nostri marò erano, e sono, detenuti illegalmente nel loro Paese?
«Come capo missione e comandante della forza militare Unifil, indosso la divisa dell'Onu. Nel gennaio 2011 ho ricevuto la nomina dal Segretario generale dell'Onu per guidare la missione, alla quale partecipano circa 12.000 caschi blu provenienti da 37 Paesi e circa 1.000 funzionari internazionali. Per me, comandante di un contingente multinazionale, sono tutti Caschi Blu. La presenza di tante e diverse nazionalità per la missione è un valore aggiunto, non un limite».
Non era meglio mandare alla cerimonia del battaglione indiano un suo vice di altra nazionalità?
«In una missione di pace e in un contesto internazionale Onu, non ci sono dinamiche o agende nazionali. La natura del nostro impegno deve rimanere imparziale e al di sopra delle parti per riuscire a mantenere la pace e stabilità nel sud del Libano. Questo è quello che stiamo facendo e con successo grazie a tutti i circa 12.000 Caschi Blu. Sottolineo tutti.
Da Roma non ha mai ricevuto indicazioni sul comportamento da tenere con gli indiani?
«Nel mio ruolo di comandante della missione Onu ricevo indicazioni solo dalla sede centrale delle Nazioni Unite a New York e dal segretario generale Ban Ki Moon».
Nel suo staff c'è un importante funzionario civile di origine indiana. Non pensa, anche in questo caso, che sarebbe meglio congelare i rapporti per dare un segnale forte e chiaro a Delhi?
«È assolutamente imperativo distinguere: una cosa è la missione che ho il privilegio di comandare, altra è la vicenda dei due sottufficiali trattenuti in India, che seguo con attenzione e partecipazione ma che non può e non deve avere riflessi su Unifil. Diversamente, comprometteremmo il buon esito della missione e, probabilmente, anche la situazione di Massimiliano e Salvatore, che invece vogliamo rivedere in patria quanto prima».
Sul Giornale abbiamo proposto, in aggiunta alla linea morbida del governo, varie opzioni, compreso il ritiro dal Libano per ottenere il rilascio dei fucilieri di marina. Che cosa ne pensa?
«Lei propone una misura di tenore politico e di ambito nazionale. Quale militare, per di più investito di un comando multinazionale, sono la persona meno titolata a dare valutazioni su questa materia».
Come giudica l'incredibile caso dei marò che si trascina da 10 mesi?
«Personalmente ho piena fiducia nelle azioni intraprese dal nostro governo».
Quanti sono fra civili e militari gli indiani della missione Unifil?
«La componente indiana di civili e militari è di circa 900 unità. Il successo della missione è anche opera loro».
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