RomaMr Pérez ha gusti austeri. «Non beve vino, difficilmente veste abiti di colore diverso dal blu» scrive il New York Times, che vede in lui, in Florentino Pérez, presidente del Real Madrid e capo del colosso delle costruzioni ACS Sa, il simbolo del caos finanziario spagnolo. La ricetta: un mare di debiti (660 milioni il Real, 9 miliardi di euro la Acs). In quel mare naviga tutta la Liga spagnola, una enorme bolla a forma di pallone, inghiottita da altre due bolle (immobiliare, bancaria) che portano la Spagna ad un passo dal baratro. Passo di fuoriclasse pagati cifre iperboliche. Josè Mourinho, 10 milioni di stipendio annuo, il mister più ricco al mondo, Ronaldo (12 milioni), Messi (10,5), Kaka (9), Xavi (7,5). Tra i primi venti giocatori più pagati del pianeta quasi la metà gioca tra Barcellona e Madrid. Troppi soldi: il calcio spagnolo è in rosso per 5 miliardi di euro, mezzo punto di deficit. Incassa 1,8 miliardi l'anno, ma ne costa 2,1. Le società devono allo Stato iberico, solo tra tasse non riscosse e oneri sociali, circa 1 miliardo di euro. Sarebbe già fallito se non fosse per le banche spagnole, che se non fosse per l'Europa (prestito fino a 100 miliardi) sarebbero già fallite. Conclusione: i super ingaggi dei campioni del Barca e del Real, è come se li pagassero i contribuenti Ue. Immobili, finanza e società di calcio. Tra questi tre poli interconnessi si avviluppa il gorgo dei conti spagnoli. Prendiamo Bankia, quarto istituto di credito della Spagna, salvato dal crack grazie ad una statalizzazione (il governo, aiutato dalla Ue, ha comprato il 45%). Bankia ha portato come garanzia Ronaldo e Kakà, che il Real ha comprato grazie al suo maxi prestito. Anche la società di Pérez, la «Acs costrucciones», è indebitata con Bankia. Se la banca fosse fallita, sarebbe fallito anche il Real, e avrebbe avuto seri problemi anche Acs, esposta per 9 miliardi con lo stesso istituto. Allo sportello di Bankia ha bussa anche il Valencia, che nel 2009 ha ottenuto un prestito che ha scongiurato la bancarotta. Allora la banca si chiamava ancora Bancaja, poi fusa in Bankia insieme ad altri istituti, salvati così dal fallimento, anche grazie a 4 miliardi dello Stato centrale. Stavolta invece è l'Europa a salvare le banche e a mantenere il pallone in campo.
Real e Barcellona, malgrado l'indebitamento folle (548milioni i blaugrana) e le voragini delle banche che li finanziano, sono ancora solidi, grazie agli introiti, in gran parte dovuti ai diritti tv e ai gadget. I club con le spalle meno forti sono finiti nel grembo dei fondi di investimento. Come succede al Saragozza, 134 milioni di debito, di proprietà di un fondo di Dubai. Il Getafe, quarta squadra della capitale presente nella massima divisione spagnola, dall'anno scorso è stata acquisita dal Royal Emirates Group dello sceicco Mansur bin Zayd Al Nahyan, già presidente del Manchester City e di Al Jazeera. Il Racing Santander, squadra di seconda serie, è finito al magnate indiano Ali Syed, proprietario del Western Gulf Advisory, che a sua volta si dice voglia venderlo alla famiglia reale del Bahrein. Dal destino delle finanze spagnole dipenderà quello del calcio spagnolo, finora il più ricco e quindi destinazione dei campioni top, anche grazie alla cosiddetta legge Beckham (tasse scontate ai fuoriclasse stranieri). A gennaio è stata abrogata, incompatibile coi disastri di aziende e famiglie. Mille miglia lontani dal rigore dei conti del Bayern Monaco, stile Merkel.
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