Bonino costretta a mettersi il velo

Due donne e un velo. Nel 1979 Oriana se lo strappò sfidando l'imam Khomeini, correndo il rischio di venir messa alla porta e buttare alle ortiche un'intervista destinata alla storia. Trentatré anni dopo Emma è costretta a infilarselo soltanto per riuscire a scendere dall'aereo e metter piede a Teheran. Storie parallele di due donne italiane in un Iran dove il tempo invece di progredire sembra avvitarsi (...)

(...) su se stesso.
Succede il 21 dicembre scorso, quando l'aereo con a bordo il nostro ministro degli Esteri tocca terra nella capitale della Repubblica islamica. Non è una visita come le altre. Il presidente Hassan Rohani è stato eletto da sette mesi. La politica iraniana è in pieno rivolgimento e gli americani, dopo lunghe trattative, hanno appena chiuso un accordo cruciale sul nucleare. Le aperture di Rohani danno nuove prospettive anche all'Italia. C'è la possibilità di rilanciare gli affari che prima delle sanzioni ci vedevano al secondo posto, dopo la Germania, negli scambi commerciali. Ma c'è anche la possibilità di aprire un canale di trattative cruciali in vista della conferenza di Ginevra sulla Siria. Per questo Emma Bonino ha voluto a tutti i costi quella visita. Per questo mentre attende di scendere dall'aereo ripassa mentalmente i punti più importanti e gli argomenti da discutere. Ma all'improvviso il capo del cerimoniale iraniano si affaccia a bordo.
Non è lì soltanto per darle il benvenuto. Avvolti sul braccio porta tre veli. Il ministro ha la possibilità di sceglierne colore e disegno, ma per poter scendere dall'aereo deve assolutamente accettare d'indossarne uno. Raccontata così la storia, lanciata dal sito conservatore iraniano Jahan News e ripresa dal quotidiano israeliano Haaretz, sembrerebbe una leggenda diplomatica. Ma, purtroppo, come confermano al Giornale fonti della Farnesina, è terribilmente vera. In quel 21 dicembre la storica visita del nostro ministro Emma Bonino, primo cancelliere europeo sceso a Teheran dopo anni di chiusure e barricate diplomatiche, inizia con uno sgarbo a gamba tesa. Uno sgarbo aggravato dal fatto che, ai piedi dell'aereo, non c'è neppure un ministro ad attenderla. Perdipiù il suo omologo, quel Mohammad Javad Zarif, accolto in pompa a magna a Roma settimane prima, non si degna neppure di risponderle al telefono. Emma Bonino, visibilmente alterata, chiede ripetutamente al capo del cerimoniale di passarglielo. Javad Zarif rifiuta persino di dirle ciao. Il suggerimento, passato per bocca del capo cerimoniale, è semplice quanto impietoso. O Emma si cala il velo sui capelli o può riaccendere i motori dell'aereo e tornarsene in Italia.
Per un minuto il ministro affoga i pensieri in una sigaretta. Quattro boccate nervose per decidere se mandare tutto in fumo o, invece, sfidare ed osare. Come Oriana 33 anni fa. Ma Emma non è Oriana. Non è più neppure la Emma di Kabul, la Commissaria Europea per i Diritti Umani che, nel settembre del 1997, non esitò a farsi arrestare dai talebani pur di difendere i diritti delle donne afghane. La Bonino militante radicale, la Bonino a volte sgradevole, ma sempre decisa e coraggiosa, è svaporata nel tempo. È un ministro in difficoltà nel suo stesso governo. È un ministro che sul caso dei marò non è riuscita a tirar fuori un ragno dal buco.

È un ministro alla disperata ricerca di un successo capace di rilanciare una politica estera italiana da troppo tempo appannata e priva di slanci. È un ministro prigioniero di un pragmatismo che stavolta purtroppo fa rima con arrendevolezza.

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