Bossetti cambia strategia: "Liberatemi, sono innocente"

I legali valutano il ricorso contro l'arresto. La Procura sicura di sé: prove chiare, sì al rito immediato

Bossetti cambia strategia: "Liberatemi, sono innocente"

Per il procuratore di Bergamo, Francesco Dettori, le prove contro Massimo Bossetti, l'uomo in cella accusato di aver ucciso Yara Gambirasio, sono talmente evidenti che si potrebbe chiedere il giudizio immediato. Per i difensori del muratore di Mapello gli indizi sono invece così labili che si potrebbe chiedere la scarcerazione dell'arrestato. È il momento delle schermaglie tra le parti, della guerriglia di posizione che segue il blitz degli inquirenti di nove giorni fa. Gli investigatori erano convinti che Bossetti sarebbe crollato davanti alle evidenze scientifiche: il suo Dna sugli indumenti di Yara, la polvere di calce sui vestiti e nei bronchi, la vicinanza tra i due quel 26 novembre 2010 provata dai loro telefonini agganciati al medesimo ripetitore più o meno alla stessa ora.
Ma Bossetti ha tenuto duro. Ha taciuto davanti al pm e si è proclamato innocente davanti al gip fornendo una serie di dettagli ora passati al setaccio. Ieri ha avuto in carcere la visita di Claudio Salvagni, avvocato di Como che da un paio di giorni ha affiancato il difensore d'ufficio, Silvia Gazzetti di Bergamo. Al termine del colloquio di circa un'ora il legale non ha mostrato dubbi: «Ha detto cose che mi hanno convinto. È sereno, sicuro della sua innocenza e la vuole dimostrare». Salvagni non esclude il ricorso al Tribunale della libertà, opzione che va vagliata con attenzione: se fosse respinta si trasformerebbe in un boomerang.
La difesa del muratore di Mapello non è priva di argomenti. C'è l'ordinanza di fermo respinta dal gip Vincenza Maccora, che ha disposto l'arresto per un motivo diverso da quello chiesto dal pm. Ci sono tutte le incertezze legate alle tracce biologiche sul povero corpo di Yara, prelevate in ambiente non incontaminato e probabilmente insufficienti per eseguire ulteriori accertamenti, transitate da tante mani, esaminate da tanti laboratori, paragonate con 18mila profili genetici. Basta un solo errore, una piccola svista, per fare cadere il castello delle accuse.
Nemmeno gli altri elementi finora raccolti dagli investigatori basterebbero per inchiodare Bossetti. La polvere di calce respirata da Yara, i movimenti rilevati dai ripetitori dei telefonini, le testimonianze di chi vedeva spesso il muratore a Brembate Sopra, il paese della tredicenne: soltanto in un contesto ben definito queste circostanze possono trasformarsi in prove. In dieci giorni di indagini serrate su di lui, nulla fa sospettare che Bossetti sia una persona dalle due facce. Sconosciuto ai casellari giudiziari, marito e padre di tre figli piccoli, le sue giornate si susseguono tutte uguali tra casa e cantieri edili; una vita regolare, al limite della monotonia, che mai ha destato sospetti nei familiari e negli amici.
Soprattutto manca completamente il contesto in cui è maturato quel feroce omicidio: il movente, l'arma del delitto, testimoni. Da solo, il Dna non prova nemmeno che Bossetti fosse sul luogo dell'uccisione. Gli inquirenti (agenti dello Sco e carabinieri di Ris e Ros) sono al lavoro per trovare altri riscontri sugli automezzi del muratore e i suoi oggetti personali.
Bossetti ha chiesto di vedere la moglie. Un incontro tra i due però non è ancora previsto.

I legali hanno chiesto ai giornalisti di rispettare la privacy della famiglia Bossetti, «comprensibilmente provata dai recenti accadimenti». Se la sono presa soprattutto per il tentativo di alcuni cronisti di avvicinare i figli (il maggiore ha 13 anni) nel «deplorevole tentativo di avere informazioni da minori».

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