Cronache

Bossetti in cella convince la moglie

La donna è entrata in carcere nascosta in un furgone: "Massimo è molto provato, ma non ha ucciso Yara"

Bossetti in cella convince la moglie

Un dribbling secco ai giornalisti accalcati all'ingresso, e di buon mattino Marita Comi ha varcato i cancelli del carcere di Bergamo forse nascosta in un furgone degli approvvigionamenti. Non vedeva il marito Massimo Bossetti dalla mattina di lunedì 16 giugno, quando si sono salutati sulla porta di casa di Mapello prima che lui andasse al lavoro in un cantiere di Seriate dove è stato fermato poco dopo le 17. Il muratore accusato dell'omicidio di Yara Gambirasio aveva espresso il desiderio di incontrare la moglie. L'incontro è durato un paio d'ore, tante le cose da dirsi dopo lo tsunami che ha squassato la loro famiglia.

Marita Comi ha chiesto il rispetto della riservatezza sua e dei figli, tutti minorenni (il maggiore ha 13 anni). Nemmeno ieri ha cercato il contatto con giornali e tv ma soltanto quello personale con il marito. Agli inquirenti ha detto che gli crede, si fida, lo difende, «Massimo non è un assassino né un pedofilo». Non aveva notato nulla di strano in lui, nessun cambiamento, sempre la solita vita tra la famiglia e il lavoro, pochissimi svaghi. Non gli ha fornito un alibi per la sera del 26 novembre 2010, ma agli investigatori ha chiarito che non significa nulla: «Massimo faceva sempre le stesse cose, ma se tardava non ci facevo caso, perché se aveva dei lavoretti extra rincasava anche alle 9 di sera».

Massimo Bossetti è «molto provato»: così, dopo la moglie, l'hanno trovato i suoi legali, Claudio Salvagni e Silvia Gazzetti, che in tarda mattinata l'hanno incontrato fino al primo pomeriggio. «È provato, consapevole delle gravissime accuse che gli vengono rivolte - dice l'avvocato Salvagni - e dei rischi che corre. Ma è pronto ad affrontare questa durissima battaglia. Si dichiara innocente e ci ha convinto, come ho già detto. Siamo al lavoro per ribattere all'accusa».

La difesa di Bossetti non ha ancora deciso se ricorrere lunedì al Riesame per ottenere la scarcerazione dell'artigiano («utilizzeremo tutto il tempo a nostra disposizione», ribadisce l'avvocato Salvagni) e sta vagliando la nomina del consulente per i prossimi accertamenti, mentre vengono esaminati tutti gli elementi forniti dall'indagato durante i colloqui di questi giorni in carcere. Ogni passo va valutato con grande attenzione anche se i tempi sono stretti perché la procura di Bergamo potrebbe chiedere il giudizio immediato. L'accusa ha tre anni e mezzo di indagini alle spalle, un centinaio di persone a disposizione (agenti, carabinieri, esperti), fondi pressoché illimitati. E Bossetti ha già assaggiato, al momento dell'arresto, la rabbia della gente contro di lui. Gli investigatori continuano a scavare nel passato del presunto omicida e nei suoi legami personali. I parenti più stretti l'hanno difeso al pari della moglie. Si esaminano computer e telefonini, una decina, sequestrati a casa sua mentre martedì nel laboratorio dei Ris di Parma cominceranno le analisi sull'auto e il furgone, anche se sembra che i mezzi non abbiano subito trattamenti particolari negli ultimi quattro anni per eliminare eventuali tracce della presenza di Yara.

Un'ipotesi sta riprendendo quota, secondo indiscrezioni raccolte dal TgCom24: che l'omicida della tredicenne avesse un complice. Un secondo uomo ancora sconosciuto quella sera avrebbe aiutato il killer a sequestrare Yara fuori dalla palestra di Brembate Sopra e trasportarla nel campo di Chignolo d'Isola dove è morta. Lo lascerebbero intendere alcune delle intercettazioni disposte dopo l'individuazione di Ester Arzuffi come la madre di «Ignoto 1». Gli investigatori sono convinti che Bossetti (ammesso che sia lui l'omicida) sia troppo esile per aver resistito da solo alla reazione disperata di Yara.

Si riapre anche la polemica politica perché il M5S ha depositato una mozione di sfiducia individuale contro il ministro dell'Interno Angelino Alfano che aveva twittato il fermo di Bossetti prima dell'annuncio della Procura.

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