MilanoCera la firma del Senatùr, sui quei bilanci limpidi come acqua di pozzo. Ci sono i verbali di Francesco Belsito, lallegro amministratore della cassa di via Bellerio, secondo cui «Umberto sapeva». Cè il racconto di Nadia Dagrada, dirigente del Carroccio, a ripetere che «sì, lui conosceva i rendiconti del partito». Cè la cartella «The Family», con tutte le spese del cerchio magico sostenute con i soldi dei finanziamenti pubblici. Ci sono pure le lettere di Riccardo, il fratello del Trota, che mentre chiede soldi, soldi e ancora soldi allex tesoriere gli scrive che è tutto ok, «ne ho già parlato con papà». Questo è il quadro, e da giorni la notizia era nellaria. Ieri, il retroscena diventa ufficiale. Linchiesta su «Lega ladrona» si arricchisce degli indagati più illustri. Tocca a Umberto Bossi, fondatore, ormai ex segretario e neo-presidente dei lumbard, che riceve lavviso direttamente in via Bellerio. Tocca ai figli Riccardo e Renzo. E tocca al senatore Piergiorgio Stiffoni, luomo dei diamanti. In coda, cè spazio per una nuova contestazione (riciclaggio) anche a Paolo Scala, il faccendiere a cui Belsito si affidò per investire 6 milioni di euro del partito in Tanzania. E quella del Senatùr sarà pure un«iscrizione minimalista», come spiegano in Procura a Milano. «Un atto di garanzia». Eppure, sembra tanto il colpo finale a un pezzo di storia padana.
Truffa ai danni dello Stato, è laccusa mossa al leader stanco del Carroccio. Una truffa da 18 milioni di euro, pari ai rimborsi elettorali ottenuti dalla Lega nel 2011, attraverso un rendiconto 2010 che Belsito avrebbe taroccato per mascherare esborsi ingiustificabili. Nessuna spesa personale è contestata a Umberto Bossi, cosa che invece sarebbero state allordine del giorno per i figli Renzo e Riccardo, ora accusati di appropriazione indebita. Erano già noti i costi che sarebbero stati sostenuti da via Bellerio per pagare le lauree farlocche e multe del Trota, o la passione per le auto di Riccardo. Adesso emergono nuovi dettagli. In quattro anni (2008-2011), gli inquirenti calcolano che i due ragazzi avrebbero messo in tasca un totale di quasi mezzo milione di euro, a colpi di «paghette» da 5mila euro al mese ciascuno. A che titolo? Nessuno, secondo i pm. Solo una brutale e continuata mungitura del partito. E anche in questo caso, Bossi padre sarebbe stato a conoscenza di tutto.
Ancora fuori dallinchiesta - almeno formalmente - la senatrice Rosi Mauro e Manuela Marrone, moglie del Senatùr. Ma le due signore del Cerchio magico restano in bilico sulle verifiche affidate ai consulenti della Procura. Che fine hanno fatto i soldi destinati al SinPa, il sindacato padano che fa capo alla Mauro? E ancora, è inquadrabile come spesa collegata allattività del partito il milione e mezzo di euro destinati alla Scuola Bosina, fondata dalla Marrone? Gli accertamenti non sono finiti, e anche per questo la posizione dello stesso Bossi senior - così come quella degli altri indagati - rischia di aggravarsi, qualora la consulenza contabile disposta dal procuratore aggiunto Alfredo Robledo e dai pm Paolo Filippini e Roberto Pellicano su tutti i conti del partito dimostri che il fiume di denaro uscito da via Bellerio è andato oltre a quello fin qui rintracciato.
Passa alla procura di Roma, invece, il capitolo relativo al senatore Piergiorgio Stiffoni, accusato di peculato (per circa 500mila euro) in relazione alla gestione dei fondi destinati da Palazzo Madama al gruppo del Carroccio. Dai 4 ai 6 milioni di euro, parte dei quali sarebbe stata movimentata in modo sospetto dal senatore. Incluso - è lipotesi dei pm - lacquisto di diamanti per 200mila euro dalla stessa società a cui si rivolsero Belsito e la Mauro per investire in pietre preziose. A inguaiare Stiffoni ci ha pensato anche il capogruppo del Carroccio in Senato, Federico Bricolo. Sentito come testimone, ha raccontato di strani spostamenti di denaro dal conto Bnl in Senato a quello personale di Stiffoni.
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