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Bossi marca stretto Maroni per tenere la Lega a destra

Umberto a Bobo: mi avevano detto tutto, ma non ci ho creduto. E annuncia: "Ti voto al congresso". Fra i due "patto del risotto verde": così il capo evita la deriva centrista

Bossi marca stretto Maroni  per tenere la Lega a destra

Serviva del disinfettante per purificare la Lega dai veleni. Blu di metilene, per l’esattezza. Che unito allo zafferano giallo, ha prodotto il risotto verde che ieri è stato il piatto simbolo del nuovo patto fra Umberto Bossi e Roberto Maroni. Dopo il grande gelo, con il Senatùr a lanciare appelli di pace a Bobo e quello a disertare via Bellerio per non incrociarlo, il vecchio Capo ha preso in mano la situazione. E si è presentato a Besozzo, mezz’ora prima del comizio del Barbaro furioso. Sorpresa. L’Umberto ha ammesso: «Bobo, sapevo tutto. Me lo avevano detto che da certe persone avrei dovuto diffidare. Ma non ci avevo creduto. Se avessi ascoltato non saremmo a questo punto». Poi, in pubblico, è andato oltre, e dopo aver detto che sì, «ci siamo vergognati per quello che è successo, ma la gente ha capito», ha annunciato che «al congresso io voterò per il bene della Lega, e Maroni è il bene della Lega». Maroni gli ha stretto la mano: «Ieri pioveva, oggi c’è il sole e lo abbiamo fatto uscire noi». Per riassumere con l’sms che i maroniani hanno inviato alle 15.12: «Oggi, 21 aprile, Bobo I è stato incoronato imperatore di Padania! Hurrah!».

Da qui in poi, giura il senatore Fabio Rizzi, sindaco di Besozzo e cuoco del risotto della pace, anche la base si placherà. Le «pulizie» continueranno, del resto pure Bossi ha ripetuto che «chi ha preso i soldi deve farsi da parte». E le scope di Maroni «non si fermeranno a chi ha responsabilità penali, ma estrometteranno dalla dirigenza chi ha avuto responsabilità politiche, mal consigliando o circuendo il Capo». Ma si fermerà la caccia a chi semplicemente è non maroniano, garante lo stesso Bossi.

La mossa del Senatùr, ieri, è arrivata a un passo dalla scissione. I maroniani annunciavano vendetta: «I cerchisti che non verranno ghigliottinati ora, verranno uccisi col veleno, anche sul lungo periodo» prometteva un deputato. Il progetto di salvezza dei cerchisti era in stato così avanzato da esser giunto alle orecchie del mondo imprenditoriale lombardo. Eccolo: fare gruppo attorno a Rosi Mauro, «che è ancora di casa a Gemonio», e sotto la guida del Senatùr fare una lista Forza Nord con quell’area ex forzista del Pdl che già si sta esercitando alle amministrative con le liste da Forza Lecco in poi. Magari con Giancarlo Galan in Veneto e con lo zampino di quel Giulio Tremonti che da un po’ tace, ma nessuno crede voglia restare fuori dai giochi per sempre: del resto fu lui, era il 1998, il primo a lanciare Forza Nord. Con una rinnovata alleanza con Silvio Berlusconi, che non ha smesso di dialogare con Bossi. Sull’altro fronte, dicono che Maroni guardi con attenzione alle mosse di Pier Ferdinando Casini. «In fondo la Lega è democristiana - fa notare un deputato terzopolista - Basti pensare ai valori della famiglia e delle tradizioni». Per dire, pare che in Parlamento i maroniani siano già ai salamelecchi con gli ex Pdl (Destro, Antonione e Gava) usciti dal partito guardando a Montezemolo. Non che il presidente Ferrari appassioni granché, «meglio Corrado Passera», ma sono segnali.

E allora ecco il piano: far dialogare la Balena verde e la Balena bianca, e intanto costruire un modello Catalogna, con la Lega primo partito del Nord e unico referente per Roma. «Il governo centrale non ci interessa più, non abbiamo ottenuto grandi risultati laggiù». In questo quadro, è al governo della Lombardia che punta Bobo, obiettivo che fa passare in secondo piano persino la partita della segreteria federale, che a quel punto potrebbe andare a uno dei leader più equidistanti dalle correnti in guerra, il veneto Luca Zaia o il lumbard Giancarlo Giorgetti.
Le due Leghe erano così vicine alla scissione che l’altra sera Giuseppe Leoni, fra i fondatori del Carroccio, s’è preso la briga di chiarire che «il simbolo appartiene a me, a Bossi e a sua moglie» Manuela Marrone, in quote del 33 per cento, e che non solo «non è mai stato venduto», ma «non è in vendita».

Viste così le cose, è chiara la mossa di Bossi: marcare a uomo Maroni, per tenere la Lega nell’area del centrodestra. Bobo altro non può fare che accettare l’abbraccio, perché ai fini elettorali un conto è fare a meno dei cerchisti, altra cosa è avere il Senatùr nemico. Senza contare che le inchieste promettono fango per tutti. Ieri l’ex tesoriere Francesco Belsito ha negato al Tg5 di aver mai raccolto un dossier contro Maroni, e si è detto pronto a collaborare con la Procura di Milano, che lo interrogherà domani.

E il Fatto, subito ripreso da Dagospia, segnala guai anche per Bobo, dando conto di un’indagine della Procura di Napoli su una presunta tangente di 10 milioni che la Agusta Westland avrebbe dato alla Lega col consenso dell’allora amministratore delegato Giuseppe Orsi, oggi a capo di Finmeccanica, amico di Maroni e della moglie, Emilia Macchi, dirigente di Alenia Aermacchi, controllata di Finmeccanica. Mai risotto fu più digeribile.

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