Roma - Una notizia improvvisa, annunciata direttamente dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel giorno in cui Antonio Ingroia riceve il via libera per il trasferimento in Guatemala. E poi la rabbia, il silenzio, il dolore, l'indignazione. Il cuore di Loris D'Ambrosio, magistrato e consigliere giuridico del Quirinale, cede di schianto, stroncato da un infarto intorno alle tre e mezza del pomeriggio. Il nome del giurista - che da tempo soffriva di problemi cardiaci - nelle ultime settimane era finito nella tempesta della presunta trattativa tra Stato e mafia e le sue intercettazioni con Nicola Mancino erano rimbalzate sui giornali. Un episodio che ha contribuito a sollevare un conflitto istituzionale senza precedenti e ha portato ieri il capo dello Stato a descrivere come «atroce il rammarico per una campagna violenta e irresponsabile di insinuazioni e di escogitazioni ingiuriose cui era stato di recente pubblicamente esposto, senza alcun rispetto per la sua storia e la sua sensibilità di magistrato intemerato, che ha fatto onore all'amministrazione della giustizia del nostro Paese».
Un'accusa forte e diretta, un'esplosione di rabbia che fa scattare in maniera eclatante pesanti interrogativi sulle responsabilità dei pm palermitani - ma anche del modo in cui è stata trattata la vicenda da alcuni organi di informazione - e riapre il derby tra garantisti e giustizialisti. Non a caso le agenzie vanno a interpellare Antonio Rebuzzi, primario di Cardiologia al Policlinico Gemelli, che non esclude l'ipotesi stress tra le ragioni della morte di D'Ambrosio. «È difficile trovare la causa, in qualsiasi fenomenologia esiste una concausa, la cosiddetta goccia che fa traboccare il vaso. Su qualunque condizione - ipertensione, diabete - lo stress può agire da innesco di una crisi. Ognuno di noi risponde allo stress in maniera diversa. Essere sottoposto a un attacco e l'incapacità di rispondere in modo adeguato possono portare anche alla depressione, elemento di rischio per le crisi cardiache».
D'Ambrosio era nato a Isola del Liri nel dicembre 1947. Diventato magistrato di Cassazione, nel maggio 2006 era stato nominato da Giorgio Napolitano consigliere per gli Affari dell'amministrazione della giustizia e direttore dell'Ufficio che, per il capo dello Stato, cura tali affari. Il nome di D'Ambrosio era finito all'attenzione degli organi di informazione nello scorso giugno per le intercettazioni delle telefonate intercorse tra il consigliere giuridico del presidente della Repubblica e il senatore ed ex vice presidente del Csm Nicola Mancino. Intercettazioni effettuate nell'ambito dell'inchiesta della magistratura sulla cosiddetta trattativa tra Stato e mafia dopo la stagione delle stragi del 1992-1993, inchiesta che vede Mancino tra gli indagati.
Il 16 giugno scorso il Quirinale era sceso in campo sottolineando che «in relazione ad alcuni commenti di stampa sul contenuto di intercettazioni di colloqui telefonici tra il senatore Mancino e uno dei consiglieri del presidente della Repubblica, parlare a questo proposito di misteri del Quirinale è soltanto risibile».
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