Bufera su Ingroia e Pd È giallo sull'intesa per prendere il Senato

Bufera su Ingroia e Pd È giallo sull'intesa per prendere il Senato

Come se non bastassero i sondaggi, che lo danno al filo di 4%, che vuol dire niente seggio alla Camera, arriva anche il giallo del patto di desistenza col Pd a guastare il tentativo di scalata di Antonio Ingroia, se non proprio a Palazzo Chigi, al Parlamento. Un polverone, quello della richiesta da parte del Pd a «Rivoluzione civile» di non presentare liste al Senato laddove i democratici rischiano di non farcela, che sta infiammando il dibattito a sinistra.
Succede che i rumors sul tentativo di accordo, pubblicati ieri, sono stati rilanciati da Leoluca Orlando, portavoce di Idv, che ha detto che la richiesta gli è arrivata da Dario Franceschini. «Nessuna proposta», tuona l'interessato, precisando di aver solo chiesto un atto di responsabilità. Ancora più tranchant Enrico Letta: «Nessun negoziato in corso con Ingroia – dice – dal Pd mai attacchi scomposti alla Consulta o al Quirinale come quelli che hanno caratterizzato l'azione del pm a Palermo. La distanza rimane abissale». «No» ad accordi, specie in regioni come la Sicilia e la Campania in cui «Rivoluzione civile» può fare buon bottino, arriva anche da Luigi De Magistris. Insomma, è bagarre.
E l'ex pm candidato premier? Per il momento, sulla tentata desistenza, tace, alle prese coi nodi da sciogliere per le liste. Nodi che non sono da poco. La bega più eclatante, forse, è lo schiaffo di Salvatore Borsellino, fratello di Paolo e padre del movimento delle «agende rosse». Infastidito dai boatos su una sua candidatura, Borsellino ha preteso da Ingroia una smentita, arrivata via Twitter. Ma in un'intervista al sito BlogSicilia il papà delle «agende rosse» è andato oltre: «Nel progetto di Ingroia non tutto è andato come speravamo. Dopo che avevamo sentito Ingroia lanciare l'appello ai partiti perché facessero un passo indietro, non vorrei che questo si limitasse a far sparire solo i simboli dei partiti dalle liste». Una sberla sonora.
Non è la sola grana. «No, grazie» per l'offerta di candidatura è arrivata dall'eurodeputata Sonia Alfano, ex Idv, presidente della Commissione antimafia europea. E proteste arrivano anche dagli Arancioni milanesi, che potrebbero ritrovarsi un Antonio Di Pietro candidato in Lombardia invece del Vittorio Agnoletto scelto da loro. E poi ci sono i sondaggi, a turbare i suoi sogni di gloria: tranne Swg, che lo ha accreditato al 4,5%, gli altri sondaggisti lo danno in bilico, appena a filo del 4%: troppo poco per conquistare un seggio alla Camera.
Prova a parlare da politico, Ingroia, ma nella sostanza parla, e soprattutto pensa, da pm, vedi qualche giorno fa a Sky quando ha ricordato: «Berlusconi? Sino a qualche mese fa lo interrogavo...».

Prova a fare il leader, Ingroia, tanto che propone un eventuale match tv con i suoi “pari grado” Silvio Berlusconi e Mario Monti («Io sono pronto, hanno forse paura di un confronto con me?»), ma poi dice no al confronto televisivo a Coffee break su La7 con un vero collega pm, Stefano Dambruoso, in corsa per la Lista Monti, candidato semplice (stasera però a Ballarò sarà con Bersani, Fini e Tremonti). Insomma, non ha pace. Pesa, nei rapporti col Pd, lo scontro istituzionale con Napolitano. È questo il «peccato originale» di Ingroia. Questo il neo che rischia di sbarrargli la porta di Montecitorio.

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