Politica

Il burattinaio Ingroia tramava e i boss la facevano franca

Il Csm vuol trasferire il procuratore di Palermo Messineo e accusa: condizionato, il suo pm era il capo ombra. E nel caos è sfuggito il super ricercato Messina Denaro

Il burattinaio Ingroia tramava e i boss la facevano franca

Roma - Alla Procura di Palermo, molto impegnata a scoprire trame politiche nella trattativa Stato-mafia degli anni '90 e a chiamare a testimoniare Giorgio Napolitano, per distrazione si sono fatti sfuggire uno dei più pericolosi boss della mafia: Matteo Messina Denaro.

Lo dice il Csm, nell'atto di incolpazione con il quale avvia la procedura di trasferimento d'ufficio del procuratore capo Francesco Messineo, per incompatibilità ambientale. La prima Commissione l'ha deciso a larga maggioranza, con l'astensione del laico Pdl Nicolò Zanon. Il 2 luglio il magistrato dovrà difendersi e alla fine dell'istruttoria i commissari decideranno se archiviare la pratica o sottoporre al plenum la decisione finale.

A Palazzo dei Marescialli la vicenda di Messina Denaro l'hanno raccontata alcuni pm siciliani, nelle audizioni dei mesi scorsi. In particolare, l'aggiunto Maria Teresa Principato (ex moglie del Pg di Palermo Roberto Scarpinato), con le sue accuse ha messo nei guai Messineo. Ha criticato il blitz di Agrigento, l'estate scorsa, dei poliziotti coordinati dall'aggiunto Vittorio Teresi, perché quell'operazione avrebbe «bruciato» la pista del Ros dei carabinieri per la cattura del superlatitante detto «Diabolik».

Ma nelle audizioni è emerso molto di più: un fiume di veleni, spaccature e incomprensioni che dilaniano anche il pool che indagava sulla trattativa. In Procura, hanno detto i pm, il vero capo «ombra» era l'aggiunto Antonio Ingroia.

Messineo sarebbe stato condizionato dall'aggiunto, appena finito sotto procedimento disciplinare perché continua a fare politica dopo il rientro in ruolo dovuto al flop alle elezioni.

Il procuratore aveva un «rapporto privilegiato» con lui ed «era sorto all'interno della Procura il sospetto» che Messineo «avesse perso piena libertà ed indipendenza nei confronti del procuratore aggiunto Ingroia e del sostituto Sava».

Così, la sua guida era «debole», non garantiva ai pm l'indipendenza, né favoriva la necessaria circolazione di informazioni. E proprio un «difetto di coordinamento» avrebbe determinato la mancata cattura di Mesina Denaro.

Ingroia, poi, tenne per 5 mesi nel cassetto le intercettazioni che riguardavano Messineo, prima di trasmetterle a Caltanissetta solo poco prima di lasciare Palermo. A gennaio il procuratore è finito indagato per rivelazione di segreto d'ufficio e anche il Csm si è messo in moto. L'accusa era di aver fornito informazioni delicate a Francesco Maiolini, l'ex manager di Banca Nuova indagato per usura bancaria. Per Messineo era un amico, dal quale aveva ottenuto «un posto di lavoro per suo figlio» e si spese per lui, invitando il suo sostituto Verzera che indagava sull'usura bancaria a «soprassedere, in attesa di ulteriori acquisizioni» all'iscrizione di Maiolini nel registro degli indagati.

Sembra una beffa, ma sempre ieri il gip nisseno ha archiviato la posizione del procuratore. Ma il Csm va avanti. «Alcune relazioni con soggetti titolari del potere economico e politico locale - scrive -, pur senza integrare forme di illecito, sembrano caratterizzate da modalità improprie o comunque inopportune per un procuratore della Repubblica».

Pesa anche il fatto che Messineo non si sia sempre astenuto come doveva quando si trattava di atti che riguardavano procedimenti, tuttora pendenti, sul fratello, il cognato e Banca Nuova. Non ha seguito, per il Csm, «criteri coerenti» e il suo comportamento ha determinato «perplessità» tra gli stessi collaboratori.

Accuse pesanti, ma il vicepresidente del Csm Michele Vietti precisa che si parla di «un'incompatibilità incolpevole» e ancora da accertare. Poi assicura: «Nessuna ombra sul processo di Palermo.

La luce rimane accesa».

Commenti