Cambia il mondo ma per l'America ora siamo inutili

Mentre noi litighiamo per l'1% e lasciamo che Grillo ammaestri le folle, gli Usa decidono chi governerà il mondo

Domani l'America sceglie il suo presidente. Domani. Mentre noi discutiamo delle regole delle primarie, ci interroghiamo sulle alleanze, litighiamo per l'1 per cento e lasciamo che Grillo ammaestri le folle, gli Stati Uniti decidono chi governerà il mondo nei prossimi quattro anni.

Parliamo del nostro mondo: Occidentale e capitalista. Barack Obama e Mitt Romney se la giocano, i sondaggi dicono che sono sostanzialmente alla pari. La verità, però, per noi è un'altra. Perché al netto del tifo, dovremmo arrenderci all'idea che l'Europa per Washington oggi conta nulla. In questi mesi di campagna elettorale, l'Europa è stata citata poco e in quel poco soltanto quando se ne doveva parlare male. Noi guardiamo a loro e loro hanno smesso di guardare a noi. C'è che la politica estera non è stata centrale nel dibattito di questi mesi e non lo sarà nei prossimi. Ma c'è anche che oggi la Casa Bianca non riconosce alcun ruolo a quest'Europa. Viviamo il paradosso estremo: c'è una forza che vuol spingere i governi europei verso un accentramento del potere nelle mani della burocrazia di Bruxelles e contemporaneamente il nostro primo interlocutore internazionale, cioè l'America, non riconosce proprio Bruxelles. Con chi parlerà da mercoledì Obama o Romney? Con il presidente del Consiglio europeo Van Rompuy? Con il presidente della commissione Barroso? Con il superministro degli Esteri europeo Catherine Ashton?

L'America è concentrata su se stessa. Non esiste altro: in questi mesi non s'è parlato di nulla di ciò che era immaginabile all'inizio della corsa elettorale. Niente Afghanistan, niente Palestina, niente Siria, niente ambiente, niente clima, niente energia. Al centro del centro c'era solo l'economia americana. Domani, gli elettori, sceglieranno chi, secondo loro, tornerà a mettere in moto il Paese, chi riuscirà a ridurre la disoccupazione. Gli unici due temi internazionali che hanno avuto un senso sono stati l'Iran e i rapporti con la Cina. Il motivo è che entrambi in un modo o nell'altro sono legati all'economia: il primo perché, sullo sfondo, tiene sempre in ballo l'ipotesi di una nuova guerra e con essa le conseguenze economiche di un conflitto, a cominciare dal prezzo del petrolio; il secondo perché gli americani vivono con relativo terrore l'idea di essere superati da Pechino. L'Europa non esiste: non siamo né alleati, né nemici. Siamo, semplicemente, irrilevanti. Non era così otto anni fa e neanche quattro anni fa: l'Unione all'epoca non esisteva neanche per noi e quindi il socio di maggioranza americano aveva sempre un interlocutore preciso, cioè il leader del Paese che a mano a mano gli serviva. Cameron, Hollande, Merkel, Monti sono ininfluenti perché hanno deciso (il primo meno degli altri) che l'Europa sia più importante di loro.

Comunque vada, quindi, noi perdiamo. Comunque vada, la politica estera americana non cambierà. Non esiste differenza tra ciò che vorrebbe fare Obama nel mondo e ciò che vorrebbe fare Romney. Esistono due visioni dell'America all'interno e una sola all'esterno: quella potente che deve rimanere leader del pianeta.

Sono entrambi concreti e realisti: conta l'interesse nazionale nel Pacifico, nel Medio e nell'Estremo Oriente. L'Atlantico e l'Europa sono geografia, non geopolitica. Stavolta l'America non ci chiederà neanche una mano. Ci siamo fatti fuori da soli.

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