La gigantografia del suo sguardo, incollata fra radiatore e parabrezza sul muso dell'autoarticolato, provoca deliri ortografici tra i fanatici del sito www.worldtrucker.com - «ciao marianna il tuo volvo a gli occhi belli quanto i tuoi ciao buona strada» (Gianluca Ghidotti) - e miete vittime persino all'estero: «Mui belli tuo volvo, e vc Marianna tambiene mui belli. buona noite!!!» (Ednelson Pereira, brasiliano). Fino a suscitare entusiasmi da stalker in Michele Lavanga: «Ciao marianna ti o incrociata qualche tempo fa in autostrada, e devo dire che dal vivo tu e il tuo camion siete tutto un altra cosa...». E in un altro post: «Bello il tuo volvo ma mai quanto te...».
Il volvo, scritto rigorosamente così, quasi fosse un prolungamento del corpo, era un Volvo Fh16 tutto giallo, un bestione da 750 cavalli che nella versione à la carte arriva a costare oltre 150.000 euro. Purtroppo una mattina verso le 8 a Marianna Dal Degan, 33 anni, nativa di Soave (Verona), si sono chiusi all'improvviso per un istante gli occhi, quelli veri, mentre percorreva la Transpolesana: «Stavo guidando dalle 5, forse uno svenimento o un attacco epilettico, io non ricordo nulla, manco la paura. I medici non ci hanno capito un tubo. Fatto sta che sono finita fuori strada e mi sono salvata per miracolo». Fine del volvo, sia minuscolo che maiuscolo. Ciononostante, l'indomita guidatrice è riuscita a vincere la paura e dopo un mese era di nuovo al volante di un altro bilico da 7 tonnellate e mezzo.
A chi poteva essere dunque assegnato, se non a lei, il Sabo Rosa 2014, ovvero il titolo di camionista dell'anno, messo in palio dalla Roberto Nuti Spa, azienda bolognese leader nel ramo ammortizzatori, molle, sterzi e sospensioni? Disdetta ha voluto che la campionessa delle 10 ruote perdesse l'adorato partner, il Volvo, proprio mentre le cingevano il capo con la corona d'alloro: colpa della crisi economica. Sicché, attualmente, deve accontentarsi di lavarli soltanto, gli autotreni, e questa è un'autentica ingiustizia, oltre che uno spreco di talento, come riconosce per primo il suo ex datore di lavoro, Silvio Ferrari, titolare di un'impresa di autotrasporti a Ronco all'Adige, nella Bassa veronese.
Non che a Silvio le cose vadano meglio che a Marianna. Dei 16 Tir che possedeva, uno dei quali affidato alla muscolosa fuoriclasse del cinque assi, gli è rimasto soltanto l'immenso piazzale dove li parcheggiava e ora ospita e ripara quelli altrui nell'annessa officina, stando bene attento che qualcuno non li rubi: «Nell'ultimo mese sono già venuti i ladri tre volte nottetempo, bande dell'Est munite di autobotte: infilano il tubo nella cisterna e mi prosciugano il gasolio fino all'ultima goccia».
A mandare all'aria i conti della ditta Ferrari non sono stati soltanto i 54.000 euro di multe arrivate in un solo anno per infrazioni al codice della strada («nemmeno una per violazione di norme riguardanti la sicurezza o la manutenzione dei mezzi»), ma anche la singolare passione dell'imprenditore sessantenne, che da un decennio organizzava concerti di musica leggera, pop, rock e beat al suo paesello con cantanti e complessi evergreen. «Ha portato a Ronco all'Adige, fra gli altri, i Nomadi, i New Trolls, Le Orme, I Camaleonti, gli Stadio, i Collage, Mietta», racconta Marianna. «Happening da 10.000 persone sul piazzale della ditta, sgombrato dagli autotreni. Ingresso gratuito. Un palco prefabbricato da 1.500 metri quadrati. Ha persino comprato di tasca sua le toilette chimiche e 5.000 careghe per mettere a sedere almeno la metà del pubblico. E alla fine c'erano sempre risotti, baccalà, grigliate e pizza per tutti. Mi ha detto che s'è mangiato non meno di 100.000 euro in questo modo».
La camionista dell'anno pratica la danza del ventre, ha posato come modella per vari fotografi e ha partecipato a parecchi concorsi di bellezza. «Nel 2012 sono stata una delle 30 finaliste di Miss Patata, la selezione organizzata da Amica chips».
Avrà conosciuto Rocco Siffredi, il testimonial.
«La faccia non mi piace».
Pare che non sia famoso per quella, bensì per una dote lunga 23 o 24 centimetri.
«Non ho avuto occasione di controllare là sotto. Sa, al casting siamo arrivate in 1.500. Una bolgia. Adesso sono attesa alle finali di Miss lady Wanizia a Milano, di Miss Over baby a Pesaro e di Miss Effetto donna a Salerno».
Perché lo fa?
«Per dimostrare che la femminilità può essere coniugata con un lavoro tipicamente maschile».
È per quello che s'è data anche alla danza dei sette veli?
«Del ventre, prego. Non c'entra nulla. Ero sempre seduta al posto di guida. Alla sera non sentivo più le gambe. Il medico mi ha ordinato di muovermi. La palestra mi fa schifo. Il ballo latino-americano non mi piace. Proviamo con quello orientale, mi sono detta. Ho scoperto per caso che a Colognola ai Colli, vicino a dove sono nata, esiste Il Circolo della danza, fondato nel 1998 da Amal Saba Allil, una donna di 52 anni, nata a Damasco, che all'età di 7 già si esibiva alla Tv siriana. Così mi sono iscritta. In arabo Amal significa speranza. La mia è di diventare una danzatrice del ventre provetta, come lei».
Il primo piano dei suoi occhi verdi sul cofano del Volvo Fh16 è stato un omaggio che le ha fatto Ferrari, il datore di lavoro?
«No, una mia iniziativa, alla quale ha acconsentito. Sulle fiancate, ai lati della cabina, c'erano anche due foto realizzate in formato maxi con il plotter».
Che genere di foto?
«Io vestita con la gonna».
Con la gonna?
«Un po' discinta, ecco».
Si direbbe che abbia un conto in sospeso con il suo corpo, o sbaglio?
«Mi sa che non sbaglia. Essendo alta 1 metro e 61, porto il tacco 12. Non quando viaggio, si capisce, perché la cabina è come una moschea per noi camionisti: spesso guidiamo scalzi. Prima di allenarmi nella danza del ventre, ho anche seguito un corso di portamento. Mi è stato molto utile per presentare i concerti organizzati da Ferrari».
Non si trova a suo agio con sé stessa?
«Ho avuto un'infanzia travagliata. Tutto ciò che so di me e del mio corpo, fino ai 29 anni ha dovuto spiegarmelo mio padre, che è morto cinquantenne nel 2000. Vivevamo insieme. Era un uomo molto semplice, custode e giardiniere di parchi. È stato lui a insegnarmi a cucinare, a lavare i panni, a stirare».
Era rimasto vedovo?
«Peggio. Mia madre se ne andò di casa nel 1987, lasciandolo da solo con quattro bambine da crescere. Mia sorella più grande aveva 13 anni. Io, che sono l'ultimogenita, appena 6».
Non andavano d'accordo?
«No. Però a noi figlie sembravano normali litigi fra coniugi. La mamma era tutta casa e chiesa, non usciva mai. Una sera disse a papà: Vado a una cena della mia classe. Uscì dalla porta e non tornò più. Quando la rividi, avevo già 16 anni».
Immagino che tutto questo abbia influito molto sulla sua vita.
«Moltissimo. Avevo intrapreso gli studi di operatrice agroindustriale. Dopo la terza, ho tentato di frequentare la quarta serale, perché mio padre da solo non ce la faceva a mantenerci, però mi sono dovuta ritirare per la fatica: era impossibile mettersi sui libri dopo 12 ore di lavoro».
Che genere di lavoro?
«Ne ho fatti parecchi: commessa da un macellaio, vivaista in una serra, operaia in una cartotecnica che metteva le copertine ai libri e in un laboratorio di filati che dal cotone grezzo ricavava le spole».
Ai camion come c'è arrivata?
«Nel 2002 un'amica mi ha proposto di arrotondare andando di sabato a lavare i Tir da Ferrari. Ho accettato. In breve tempo ho conseguito il record nazionale, credo: 60 minuti per tirare a specchio un autotreno. Dopodiché ho imparato a sostituire le gomme, a fare il cambio dell'olio, a riparare i guasti, a spostare i mezzi nel piazzale. Finché un giorno il titolare mi ha detto: Perché non ti fermi qui per sempre?».
Quanto consumano questi mezzi?
«In autostrada non fai più di 2,6 chilometri con un litro, 3 senza il carico».
Che cos'ha di tanto bello il mestiere dell'autotrasportatore?
«Viaggi. Vedi panorami sempre diversi. Guardi il mondo da un'altra prospettiva, considerato che stai seduto a un metro e mezzo dal piano stradale».
Gli automobilisti vi odiano.
«E io odio loro. Sapesse quanta gente trovo in giro che guida sulle patatine».
C'entra Siffredi?
«È un modo di dire. Ma chi gli avrà dato la patente? Secondo me l'hanno comprata. Idioti che occupano la corsia degli 80 chilometri orari in autostrada o che pretendono di avere la precedenza anche quando spetta a noi. Devi avere mille occhi e la pazienza di Giobbe».
Per quanti soldi al mese?
«Circa 2.000 euro».
E quante ore lavorate al giorno?
«Fino a 9, due volte a settimana anche 10, con l'obbligo di una pausa di 45 minuti. Ma so di colleghi che guidano per 16 ore di seguito. Però è meglio non toccare l'argomento del cronotachigrafo».
Come fate a evitare il colpo di sonno?
«Una sosta di 5 minuti e un caffettino».
Fratel Ettore, l'angelo dei barboni di Milano, mi suggerì di tenere in auto un'arancia: «Così non ti abbiocchi».
«Buono a sapersi».
Ignoro se il metodo funzioni. Invece ho sperimentato che telefonare, con il vivavoce, tiene sicuramente svegli.
«Dipende dal tipo di telefonata. Se ti chiama uno stronzo, ti svegli per forza».
A che media viaggia?
«Mai guardata».
Che senso hanno quei sorpassi fra Tir che durano un'eternità, creano una colonna in autostrada e a fine percorso vi danno sì e no un vantaggio di pochi minuti?
«Nessuno. Però qualche volta sono obbligatori. Quando sei troppo sotto al collega che ti precede, non hai alternative: o deceleri di brutto, in modo da mantenere la distanza di sicurezza, o superi».
Non sarebbe meglio farvi viaggiare solo dalle 21 alle 6?
«Ah, perché lei crede che così diminuirebbero le sciagure stradali? Guardi che siete voi automobilisti a provocare il maggior numero di disastri. Dal 2011 al 2012 gli incidenti che hanno visto coinvolti mezzi pesanti sono calati di 3.200 unità, fino a rappresentare appena il 6,5 per cento del totale, con 156 morti sui 3.653 registrati complessivamente».
Lei che farebbe per snellire la circolazione sulla rete autostradale?
«Ordinerei che i lavori di manutenzione siano eseguiti soltanto di notte».
Ma è vero che i guidatori di autotreni sono sessualmente promiscui?
«Altroché. Il motto dei maschi è: Basta che respiri. Quelle che vedono per strada, belle o brutte, per loro sono tutte uguali. Il peggiore è il collega sposato. Invece il single è piuttosto sul morto. Si fa sotto soltanto quand'è ubriaco».
Si leggono certi graffiti nei gabinetti maschili degli autogrill...
«Eh, c'è anche quel genere lì. L'autotrasportatore è molto ricercato dai gay. Ci sono aree di sosta dove di notte dovrebbe avere più paura a dormire un camionista che una camionista».
Lo fanno per soldi?
«Secondo me lo fanno perché gli piace. Ha presente quel tizio che stava alla Regione Lazio? Uguale».
Come sono le toilette degli autogrill, viste con occhi femminili?
«Un cesso».
Concordo.
«Indegne. Infrequentabili. Negli altri Paesi i camionisti hanno a disposizione persino i bagni per farsi la doccia. Da noi trovi soltanto le badanti con il grembiule azzurro che, anziché pulire, lavorano a maglia e pretendono pure la mancia. Chi le ha messe lì?».
Qual è il complimento più bello che ha avuto?
«Una canzone. Me l'ha dedicata sul palco Gaetano Curreri degli Stadio, che l'ha scritta con Vasco Rossi: Che sorriso che ci hai questa sera / sembra quasi che sia primavera. S'intitola Più bella che mai».
Le manca qualcosa nella cabina dell'autoarticolato?
«È perfetta così. Vorrei solo qualche specchietto di cortesia in più».
Pensa che in Italia nel lavoro ci sia parità fra maschi e femmine?
«Rispetto al passato, senz'altro.
Secondo lei, che cosa sa il ministro dei Trasporti del suo lavoro?
«Posso dirlo anche se sono una donna?».
Ma certo.
«Un casso».
(708. Continua)
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