Sceglie Venezia, Umberto Bossi, per tornare sul palco dopo una lunga assenza. La festa dei Popoli è il solo appuntamento del vecchio corso, e cioè il suo, che il nuovo segretario Roberto Maroni non abbia cancellato. E poco male se sono scomparse le ampolle con l'acqua del Po e se i vecchi gadget hanno lasciato il posto agli occhialini rosso-neri come quelli di Bobo e ai bracciali in stile Cruciani col sole delle alpi. Qui oggi c'è un solo nemico, che è il governo Monti.
Se il Senatùr lo accusa di «fallimento» per aver fatto «carta straccia» del federalismo fiscale, il segretario dell'Emilia Romagna Fabio Ranieri al premier dà del «lurido buffone», mentre Maroni non risparmia al governo del Prof l'accusa di essere «centralista come il fascismo». Del resto, qui oggi c'è la presa d'atto pubblica e collettiva che, signore e signori, ci siamo sbagliati, non è a Roma, non è trattando con «quei signori che fanno i maiali coi nostri soldi», per dirla con il sindaco di Verona Flavio Tosi, che la Lega otterrà ciò che vuole. «È dal Nord che bisogna combattere», avvertono all'unisono i vertici del Carroccio. Se il Senatùr incita i «fratelli padani» perché «la libertà del Nord si farà o con le buone o a furor di popolo», Maroni chiama alla «rivoluzione ghandiana verso l'indipendenza nel segno della disobbedienza» e suggerisce di dare il via anche al Nord a un movimento «come quello dei forconi siciliani».
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