La capitale morale diventata moralista

Impossibile non stare dalla parte di Dolce & Gabbana, come d'altronde il nostro eccellente Camillo Langone ha scritto ieri sul Giornale. Per vari e validi motivi.

La capitale morale diventata moralista

La ditta Dolce & Gabbana è stata di parola e ha iniziato la serrata, tre giorni di chiusura dei propri negozi milanesi per protestare contro una bischerata uscita di bocca a un assessore del capoluogo lombardo, Franco D'Alfonso: «Non bisogna concedere gli spazi simbolo della città a personaggi famosi e marchi vip che hanno rimediato condanne per evasione fiscale».

Impossibile non stare dalla parte dell'azienda, come d'altronde il nostro eccellente Camillo Langone ha scritto ieri sul Giornale. Per vari e validi motivi.

Uno. La condanna in primo grado non significa niente. Bisogna aspettare la sentenza finale della Cassazione per poter dire se uno o più imputati siano colpevoli. Strano Paese, il nostro, dove tutti si proclamano adoratori della Costituzione, ma nessuno (o pochi) ne rispetta la lettera e lo spirito.

Due. Gli spazi pubblici sono a disposizione di coloro che ne fanno uso a vantaggio della collettività. Non si può negare che Dolce & Gabbana sia una grande impresa che impiega centinaia e centinaia di lavoratori; che rappresenti - insieme con altre griffe del settore moda - il meglio del made in Italy; che costituisca un punto di forza dell'economia nazionale e sia quindi meritevole di essere incoraggiata e non avvilita con divieti assurdi dettati da pregiudizio ideologico.

Tre. I padroni in teoria possono avere commesso delle scorrettezze o addirittura dei reati, ma il loro marchio rimane importante per ragioni sociali e di mercato, per cui non va mortificato; al contrario, va tutelato e aiutato a mantenere le posizioni di prestigio acquisite allo scopo di garantire ai dipendenti e all'Italia introiti vitali.

Quattro. Se i due creatori di moda hanno sbagliato, pagheranno di tasca loro. Ma a stabilire se hanno torto sarà la magistratura al termine dell'iter giudiziario e non un assessore chiacchierino. In ogni caso, non deve andarci di mezzo l'azienda che è sì patrimonio privato, ma svolge funzioni che vanno ben oltre l'interesse della proprietà, estendendosi a quello di tutti coloro che vi prestano opera.

Cinque. Franco D'Alfonso, dopo avere espresso l'intenzione di inibire a Dolce & Gabbana l'occupazione di spazi pubblici per manifestazioni legate all'attività dell'impresa, ha tentato di fare macchina indietro, affermando di avere parlato a titolo personale. Giustificazione debole. Un assessore è tale anche quando dorme, figuriamoci quando si lascia andare a considerazioni inopportune e dannose per la reputazione dell'amministrazione di cui è fra i responsabili. Qui non si tratta di scusarsi bensì di cambiare rotta e di affrettarsi a offrire al marchio ciò che gli è stato ingiustamente negato.

Sei. Un modo per rimediare alla gaffe c'è: intervenga il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, per sconfessare il proprio collaboratore. Non pretendiamo che egli lo costringa a dimettersi; però lo convinca a non aggravare la situazione aggiungendo sciocchezze a sciocchezze.

Il sindaco poi si ricordi che indennizzare i rom, anziché punirli perché hanno costruito case abusive, non è una bella cosa. A meno che il primo cittadino non ci voglia persuadere che l'abusivismo rappresenta una virtù, mentre l'elusione fiscale (ammesso sia provata) è un peccato mortale.

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