Un capolavoro d'ingegneria che ora rischia di affondare

L'inchiesta di Venezia potrebbe bloccare i lavori di una superdiga unica al mondo. Dai primi progetti del 1981 al via ai lavori nel 2003 grazie al governo Berlusconi

Un capolavoro d'ingegneria che ora rischia di affondare

Fra due anni e mezzo sarà passato mezzo secolo. Cinquant'anni da quella drammatica notte, 4 novembre 1966, un'acqua alta di quasi due metri sul mareografo di Punta della Salute. La Serenissima e la laguna furono sommerse, i danni incalcolabili. Manca la memoria di questa catastrofe, è ormai materia per storici e per libri di fotografie in bianco e nero. Senza una difesa dalle maree Venezia sarebbe morta: questa è la tragica verità che ha fatto nascere il Mose.
Decenni di furiose polemiche in tutto il mondo, leggi speciali, concorsi di idee, comitati di esperti, «comitatoni» e «progettoni»: il primo risale al 1981, 15 anni dopo la mareggiata. Sono questi i tempi delle opere pubbliche in Italia, da sempre, nonostante le barriere mobili fossero apparse fin da subito come l'unica soluzione possibile per impedire il collasso di Venezia. Anche i magistrati che hanno ordinato la retata di ieri riconoscono la validità del progetto, auspicano che i lavori proseguano per costruire questo capolavoro dell'ingegneria idraulica italiana, un progetto unico al mondo. Che però, con le difficoltà finanziarie che attraversa il Paese e sotto l'ondata dello scandalo giudiziario, devastante quasi come quella del mare, il Mose rischia di diventare l'ennesima opera incompiuta.

Le dighe mobili non sono ancora finite ma tutti - politici, costruttori, appaltatori, finanziatori - sono già dentro. Le paratoie sono incernierate sui fondali delle bocche di porto veneziane che vengono innalzate in occasione delle maree. Tanto è semplice il concetto base, quanto complessa è la progettazione, che deve tenere conto del delicatissimo ecosistema idrogeologico lagunare e delle esigenze economiche e commerciali di una città che vive anche di trasporto navale per i turisti e le industrie. A sancire la funzionalità del Mose è un Collegio di esperti internazionali che consegnò il rapporto positivo al governo Prodi. Le conclusioni del documento affermano, tra l'altro, che l'opera è efficace, non provoca impatti sulla grande scala e ha un'influenza minima alla scala locale. Vi si legge: «Di fatto, il sistema di barriere mobili integrato dalle difese locali risponde adeguatamente ai problemi attuali e, contemporaneamente, lascia aperte le opzioni per il futuro». Era il 1998, 32 anni dopo l'alluvione e 17 dopo il primo «progettone».

I governi di centrosinistra diedero un impulso importante alla realizzazione del Mose. Ma la spinta decisiva venne dalla Regione Veneto guidata da Giancarlo Galan e soprattutto dal secondo governo Berlusconi, che semplificò le procedure burocratiche per l'avvio dei lavori e sbloccò i finanziamenti del Cipe. Prima di essere posate all'imbocco della laguna, le paratoie mobili avevano già attraversato vicissitudini interminabili. A metà del maggio 2003, tra le contestazioni dei centri sociali di Luca Casarini, viene posata la prima pietra, un blocco di 14 tonnellate. Il Mose è l'intervento di salvaguardia ambientale più grande del mondo. Un'opera colossale, interamente «made in Italy» dalla progettazione all'esecuzione, che dovrebbe essere terminata nel 2016 con un costo di cinque miliardi e mezzo di euro.

Il prezzo per evitare l'affondamento di Venezia è pagato per il 90 per cento dallo Stato italiano. La realizzazione ha superato l'80 per cento delle opere previste. Se si fermasse a pochi passi dalla conclusione, non sarebbe soltanto Venezia ad affondare.

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