Fra due anni e mezzo sarà passato mezzo secolo. Cinquant'anni da quella drammatica notte, 4 novembre 1966, un'acqua alta di quasi due metri sul mareografo di Punta della Salute. La Serenissima e la laguna furono sommerse, i danni incalcolabili. Manca la memoria di questa catastrofe, è ormai materia per storici e per libri di fotografie in bianco e nero. Senza una difesa dalle maree Venezia sarebbe morta: questa è la tragica verità che ha fatto nascere il Mose.
Decenni di furiose polemiche in tutto il mondo, leggi speciali, concorsi di idee, comitati di esperti, «comitatoni» e «progettoni»: il primo risale al 1981, 15 anni dopo la mareggiata. Sono questi i tempi delle opere pubbliche in Italia, da sempre, nonostante le barriere mobili fossero apparse fin da subito come l'unica soluzione possibile per impedire il collasso di Venezia. Anche i magistrati che hanno ordinato la retata di ieri riconoscono la validità del progetto, auspicano che i lavori proseguano per costruire questo capolavoro dell'ingegneria idraulica italiana, un progetto unico al mondo. Che però, con le difficoltà finanziarie che attraversa il Paese e sotto l'ondata dello scandalo giudiziario, devastante quasi come quella del mare, il Mose rischia di diventare l'ennesima opera incompiuta.
Le dighe mobili non sono ancora finite ma tutti - politici, costruttori, appaltatori, finanziatori - sono già dentro. Le paratoie sono incernierate sui fondali delle bocche di porto veneziane che vengono innalzate in occasione delle maree. Tanto è semplice il concetto base, quanto complessa è la progettazione, che deve tenere conto del delicatissimo ecosistema idrogeologico lagunare e delle esigenze economiche e commerciali di una città che vive anche di trasporto navale per i turisti e le industrie. A sancire la funzionalità del Mose è un Collegio di esperti internazionali che consegnò il rapporto positivo al governo Prodi. Le conclusioni del documento affermano, tra l'altro, che l'opera è efficace, non provoca impatti sulla grande scala e ha un'influenza minima alla scala locale. Vi si legge: «Di fatto, il sistema di barriere mobili integrato dalle difese locali risponde adeguatamente ai problemi attuali e, contemporaneamente, lascia aperte le opzioni per il futuro». Era il 1998, 32 anni dopo l'alluvione e 17 dopo il primo «progettone».
I governi di centrosinistra diedero un impulso importante alla realizzazione del Mose. Ma la spinta decisiva venne dalla Regione Veneto guidata da Giancarlo Galan e soprattutto dal secondo governo Berlusconi, che semplificò le procedure burocratiche per l'avvio dei lavori e sbloccò i finanziamenti del Cipe. Prima di essere posate all'imbocco della laguna, le paratoie mobili avevano già attraversato vicissitudini interminabili. A metà del maggio 2003, tra le contestazioni dei centri sociali di Luca Casarini, viene posata la prima pietra, un blocco di 14 tonnellate. Il Mose è l'intervento di salvaguardia ambientale più grande del mondo. Un'opera colossale, interamente «made in Italy» dalla progettazione all'esecuzione, che dovrebbe essere terminata nel 2016 con un costo di cinque miliardi e mezzo di euro.
Il prezzo per evitare l'affondamento di Venezia è pagato per il 90 per cento dallo Stato italiano. La realizzazione ha superato l'80 per cento delle opere previste. Se si fermasse a pochi passi dalla conclusione, non sarebbe soltanto Venezia ad affondare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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