Ma care signore, non sposate il rancore la lettera 2

diCara tu, lo so, non andavate più d'accordo da anni. Lui non c'era mai e, quando c'era, aveva la testa altrove. Prima si prodigava in ogni galanteria, poi era arrivato a dimenticarsi il giorno del tuo compleanno. Magari ti ha tradita e, certo, il tradimento è una cosa orribile. All'inizio fingevi di non saperlo: non ti eri mai interrogata a fondo sul perché da molto tempo, ormai, tra le lenzuola chiacchieravate e basta. Poi, ecco, l'ultima volta è tornato così tardi che ogni giustificazione non poteva reggere. Hai detto «basta» e lo hai lasciato. Anzi, l'hai cacciato di casa. Quando i figli erano a scuola, gli hai fatto trovare valigie piene di vestiti stropicciati fuori dalla porta, più quattro cose, una foto del liceo e la laurea che teneva appesa in studio. Non ne potevi più. Quante lacrime. Quanti pomeriggi con la bocca dello stomaco che urlava di rabbia. Magari non ti ha tradita, invece. O magari lo hai tradito tu. E però avevi deciso di troncare una storia che da tempo non aveva più senso. Tu sei ancora convinta, in termini assoluti, che la colpa del fallimento è tutta sua. Hai pazientato oltre ogni limite, pensi anche di esserti umiliata. Te l'hanno detto in tutti i modi tua madre, che ogni giorno si lamenta di tuo padre eppure se lo tiene in casa da quarant'anni e passa, te l'hanno ripetuto le amiche, sia quelle single o separate, sia quelle che tengono ancora in piedi i loro matrimoni, non hai mai capito se per convinzione o convenienza, ma non ce n'è una che non ti abbia detto «Lascialo». Anzi: «Fagliela pagare, a quello lì». E ancora: «Tesoro, hai diritto a rifarti una vita». Nemmeno per un attimo hai pensato che qualcuna di loro parlasse per invidia, o piccole cattiverie, ti sei sentita sostenuta e, finalmente!, l'hai mandato via e sei corsa dall'avvocato a chiedere la separazione. Hai scelto un avvocato donna, separata e inferocita con il genere maschile almeno quanto te. Una che ha il sangue in bocca quando ti spiega quello che dovrai fare.
Ma, cara Tu, non sei felice lo stesso. Non ti bastava averlo mandato via. Non ti è stato sufficiente lasciargli mutande e camicie sul pianerottolo, e sapere che per ora si è trasferito in un residence o dorme sul divano letto di un amico, o in una stanzetta a casa dei genitori. No, tu sei ancora ferita, hai le cicatrici aperte che suppurano. Lo odi, quel bastardo che ti ha rubato un pezzo di vita e, credi, gli anni migliori. Lo vuoi vedere umiliato. Pretendi che ogni giorno per lui divenga un cammino della croce.
Tanto, lo sai. Sai che la legge è dalla tua parte e spesso l'affidamento condiviso dei figli resta sulla carta. Sai che il campo delle separazioni è il luogo delle dispari opportunità, l'unico in cui la donna gioca in vantaggio. Fossi in Belgio o in Francia, non saresti così spavalda. Ma i figli sono la protezione migliore per il tuo rancore. Lui non è un mostro, non è una di quelle bestie che picchiano le loro compagne, non si è giocato l'appartamento familiare in qualche bisca. Eppure non ti interessa. Hai allontanato ogni riflessione sulle tue responsabilità, hai cancellato con testardaggine tutti i bei momenti passati assieme. E nemmeno ti preoccupi che, con quello che gli resta in tasca a fine mese, non possa permettersi nemmeno un monolocale. Lui è un numero, uno tra i mille e mille mariti e padri separati che le statistiche e le storie di vita buttano nell'inferno dei nuovi poveri, tra brandine, discount, debiti, depressione. Cara Tu, di loro si parla pochissimo, di questo esercito silenzioso che cresce ogni giorno e moltiplica le sue sofferenze in un'enorme ferita sociale.

Quando anche Tu riconoscerai i suoi diritti, e la sua sofferenza, e sostituirai il rancore con il rispetto prima ancora che la legge te lo imponga, questa nazione avrà fatto un gran passo in avanti verso la civiltà giuridica e degli affetti.

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