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Caso Penati, la furnata dei pm: nomi storpiati per sviare le spie

Nell'inchiesta sulle tangenti rosse la Procura di Monza temeva fughe di notizie. E così ha modificato i cognomi delle persone iscritte nel registro degli indagati. Ma l'escamotage non funziona: i veri nomi Penati e Di Caterina si riconoscono subito

Caso Penati, la furnata dei pm: nomi storpiati per sviare le spie

Milano - Chi sarà mai questo «Penna Filippo» che spunta dalle carte dell’inchiesta sulle tan­genti rosse a Sesto San Giovanni? E «Oldoni Giorgio»? E «Mercati Giordano»? E «Dicatri­na », «Zummino», «Bin», «Sarnone»? Sembra che una raffica di refusi abbia all’improvviso storpiato i nomi di tutti gli indagati.Ma in real­tà c’è poco da ridere. Perché da questo foglio, contenuto nell’oceano di carte depositate dai pm a conclusione delle indagini, si scopre quale fosse il clima in cui l’inchiesta sulla cor­ruzione nel Pd sia dovuta andare avanti per lunghi mesi.

La Procura temeva di essere spia­ta. Per questo, i protagonisti del valzer di ap­palti e tangenti nella ex Stalingrado sono stati iscritti nel registro degli indagati sotto falso nome, in modo che chi si fosse intrufolato nei computer degli uffici giudiziari non scoprisse in anticipo l’uragano che si preparava. È una facoltà che il codice consente in casi eccezio­nali, usata di solito nelle inchieste per mafia, con gli indagati che diventano «X» e «Y» oppu­re «Alfa» e «Beta». Invece i pm Walter Mapelli e Franca Macchia hanno preferito modifica­re i cognomi. Penati è diventato «Penna», il suo successore Oldrini «Oldoni», il suo brac­cio destro Vimercati «Mercati». Eccetera. Un eccesso di prudenza? Forse no, a giudicare dalla carte. Che raccontano come il meccani­smo di potere e di affari che ruotava intorno al Pd della«capitale morale»sia rimasto operati­vo anche dopo l’inizio delle indagini. Uno degli elementi cruciali del filone d’in­chiesta relativo al recupero dell’area Falck ruota intorno al ruolo delle coop. Le coopera­tive rosse, secondo le testimonianze raccolte dalla Procura di Monza, entrano nell’affare Falck per garantire che anche il Pd nazionale abbia il suo tornaconto economico.

A rappre­sentare ufficialmente le coop è Omer Degli Esposti, vicepresidente del Ccc. Ma a venire definito «plenipotenziario delle cooperative emiliane» - si legge a pagina 227 del faldone 16 - è Giordano Vimercati, già capo di gabinet­to di Penati, indagato per concussione, che quando il suo capo passa a Roma a lavorare con Bersani cambia casacca e diventa il lobbi­sta delle coop rosse. E non è tutto: Vimercati viene assoldato an­che da Enrico Intini, grande amico di Massi­mo D’Alema, sotto inchiesta a Bari per turbati­va d’asta, finanziatore occulto di Penati, inte­ressato ad una gara da sedici milioni per uno scolmatore della Provincia di Milano. «Tanto - scrive la Guardia di finanza - che utilizzava l’ account di posta elettronica gvimercati@in­tini.it ».

A finanziare il Pd in cambio del via libera ai lavori sull’immensa area Falck è all’inizio il costruttore Giuseppe Pasini. Ma Pasini va in crisi,l’area passa di mano,alla fine approda a Davide Bizzi, imprenditore che ha appena co­struito un grattacielo a Manhattan. Ma le pre­tese, secondo la Procura di Monza, non si pla­cano. In un passaggio i pm ipotizzano che an­che Bizzi sia vittima di concussione. Gli viene chiesto tra l’altro di finanziare la Pro Sesto, la locale squadra di calcio: «Ieri - dice il presi­dente della squadra al sindaco Oldrini- abbia­mo finalmente portato alla firma il contratto con i Bizzi e dovrebbero oggi bonificare la pri­ma tranche , perché i 150 li hanno divisi in tre tranches da 50 (...) i Bizzi hanno chiesto di non rendere assolutamente pubblica la cosa».

In un’altra telefonata, Giordano Vimercati rac­conta di avere spiegato a Bizzi il funzionamen­to delle cose in Italia: «Gli ho spiegato anche un po’ la politica, guardate che poi in consi­glio comunale sono i consiglieri che votano questa cosa (...) le cose sono un po’ più com­plicate, un po’ di biada,insomma.Gli ho spie­gato che l’amministrazione comunale inten­de fare un accordo, dobbiamo però andargli incontro perché ci sono delle esigenze anche di carattere, di politica generale che bisogna accontentare un po’ tutti (...)ma lui non capi­sce un cazzo di politica, è abituato a New York, va dal direttore generale, fa l’accordo e costruisce il grattacielo».

Scavando sulla cordata di Bizzi, la Procura mette sotto controllo anche i vertici di Intesa, che è una dei finanziatori: i cellulari di Corra­do Passera 348228****** e di Gaetano Micci­ché 335766*** vengono intercettati dal luglio scorso.

Ma senza grandi risultati.

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