RomaLa vera guerra di Matteo Renzi comincerà domattina, e si combatterà in via del Nazareno. In particolare, nella giungla dei gruppi di Montecitorio e Palazzo Madama. Al nuovo segretario toccherà vedersela con i vietcong del Pd, partito che fin dalla sua nascita s'è poggiato su una struttura costituzionalmente refrattaria al concetto di «capo». Principi e boiardi hanno scientificamente sabotato le leadership votate dagli elettori (Prodi, Veltroni, Bersani), tutt'al più tollerando i «reggenti» (Franceschini, Epifani). Una sola eccezione d'autorità, divenuta cogente da quando il partito è a rischio d'implosione: Giorgio Napolitano.
Il ruolo di «commissario speciale» del Pd il capo dello Stato se l'è guadagnato con la complessa operazione di sponda europea che portò Berlusconi alle dimissioni per l'infausta stagione dei «tecnici» di Monti. La sua rielezione al Quirinale ne ha sancito la grande capacità di manovra e ideazione politica, dispiegatasi compiutamente con l'invenzione del governo Letta e degl'innumerevoli stratagemmi che ne stanno consentendo il cammino, nonostante le palesi inefficienze. Cammino che consente al Pd di tenersi in vita con la struttura di prima: un boiardato che risponde unicamente all'Imperatore di Aquisgrana. Persino dopo l'acclarata illegittimità, decretata dalla Consulta, della legge elettorale e, dunque, di una consistente fetta di parlamentari.
Solo se si coglie l'intero percorso per come si è svolto, si riesce a comprendere quel senso di incertezza (per qualcuno di sgomento) che accompagna la scalata di un (finora) «irregolare» come Renzi al comando del Pd, per giunta con quella sua inveterata voglia di elezioni anticipate che romperebbero gli assetti. Ma si riesce a capire anche il veemente, infastidito scatto di nervi con cui, nelle ore delle primarie, il partito risponde all'ipotesi di impeachment per Napolitano avanzata da Grillo e fatta propria da settori di Forza Italia. Ieri anche il capogruppo Brunetta, dopo il senatore Minzolini, ha ribadito di essere prontissimo a «valutare» una richiesta di impeachment. È bastato questo perché all'accorata difesa di Luigi Zanda («ipotesi ridicola, corbelleria, pura provocazione priva di qualsiasi base di fatto e di diritto») si unisse ieri anche una nota ufficiale del Pd, firmata dal responsabile giustizia, Danilo Leva: «L'attacco a tenaglia lanciato dai partiti populisti Forza Italia e M5S contro le alte cariche dello Stato dev'essere respinto con forza. Napolitano e le istituzioni devono essere poste al riparo da questa aggressione squadrista».
Non a caso il candidato Gianni Cuperlo, diretta espressione dell'asse di potere che regge la baracca del Pd e lo strano assetto imperiale che fa capo all'uomo del Colle, si è voluto distinguere dai più tiepidi Renzi e Civati, definendo «assurdo e irresponsabile» accusare Napolitano. «Sono allibito - ha dichiarato un Cuperlo allarmatissimo come ai tempi della Fgci -, il capo dello Stato ha aiutato il Paese a rimanere in piedi.
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