Roma - Alla fine, se le imprese creditrici dello Stato riusciranno ad avere quello che gli spetta dovranno rivolgere i loro ringraziamenti a Bruxelles più che a Roma. Se sarà sanata una delle vergogne nazionali - i 71 miliardi di euro di debito commerciale che la pubblica amministrazione non liquida ai creditori - non sarà merito dei decreti del governo Monti sulla certificazione e nemmeno degli sforzi diplomatici del premier all'ultimo Consiglio Europeo, ma del pressing di Antonio Tajani nei confronti dei colleghi dell'esecutivo Ue. Un lavoro sotterraneo durato mesi, terminato giorni fa.
Il frutto del lavoro è un comunicato congiunto firmato dallo stesso vicepresidente della Commissione, esponente italiano (e Pdl) al vertice delle istituzioni Ue, e del commissario agli Affari economici Olli Rehn. Finlandese e ultrarigorista. Due pagine il cui passaggio chiave è quello nel quale si assicura che la liquidazione dei debiti commerciali dello Stato a favore delle imprese «potrebbe rientrare tra i fattori attenuanti» quando Bruxelles valuterà il rispetto del Patto di stabilità e crescita.
Poche parole, ma di grande importanza. Significano che l'Italia potrà sforare di una cifra pari a quella che avrà corrisposto alle aziende creditrici. Il condizionale, ha spiegato ieri Tajani illustrando alla stampa la novità negli uffici romani della Commissione, è esclusivamente dovuto al fatto che la decisione sul come restituire i soldi spetta al governo italiano, ma dovrà essere valutata da Bruxelles.
L'obiettivo è comunque chiaro, tanto che Tajani ha un'idea precisa anche dei tempi entro i quali lo stato dovrebbe smaltire i suoi debiti: due anni. «Noi sollecitiamo un piano in tempi brevi - ha detto il commissario Ue all'Industria - la forma poi è prerogativa del Paese. Ma ricordiamoci che parliamo della terza economia dell'area euro e intervenire rapidamente sarebbe importante, per ridare fiato alle imprese, evitare fallimenti e far ripartire l'economia. La Commissione Europea è pronta a cooperare con le autorità italiane per aiutare l'attuazione tecnica del piano».
La palla, insomma, è tornata sul campo di Roma, che ora deve dire alla Commissione come e quando vuole procedere. La prima risposta ufficiosa è arrivata ieri dal premier Mario Monti. «Lavoreremo con i servizi della Commissione europea per identificare le soluzioni tecniche per avviare la liquidazione del debito nel più breve tempo possibile», ha assicurato. Il governo ha più margini di manovra, ma dovrà prendere una decisione importante. «Ora - ha riconosciuto il ministro agli Affari europei Enzo Moavero - il boccino torna a noi».
Il pressing su Monti è forte. «La proposta di cooperazione della Commissione - è l'avvertimento di Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria - deve essere colta immediatamente, senza aspettare l'insediamento di un nuovo esecutivo».
Se il governo, in carica per gli affari correnti, rimarrà fermo al piano definito dai quattro decreti - la certificazione dei crediti con la quale le aziende possono chiedere anticipi alle banche - la disponibilità dell'Europa non sarà servita a niente.
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