Chi ancora si ostina a non capire il mito Thatcher

Ieri il Sole 24 Ore ha ricordato Margaret Thatcher con un breve fondo affidato a Romano Prodi, nel quale l'ex-premier ha affermato che le riforme della Lady di Ferro avrebbero «creato le condizioni per l'esplosione della più drammatica crisi finanziaria (e ormai anche economica) del dopoguerra». La tesi è bizzarra, dato che non si comprende come le politiche condotte nel Regno Unito dal 1979 al 1990 possano avere favorito la bolla dei mutui subprime nell'America del 2007. Lo statalismo selvaggio è proprio un'ideologia che acceca e induce molti - Prodi, e non solo lui - a dire tutto e anche il contrario.

Una cosa è vera: l'azione di rinnovamento condotta in Inghilterra dalla Thatcher ha avuto un impatto che ha valicato i confini britannici. Dopo avere ereditato dalle precedenti amministrazioni un Paese in ginocchio e quasi senza speranza, il premier conservatore ha inaugurato un'epoca inedita perché ha saputo sconfiggere quella che, fin dai tempi di Platone, viene individuata come la peggiore malattia delle società: la demagogia.

Quanti hanno condannato la Signora di Ferro per la sua lotta contro le resistenze dei minatori sono infatti stati vittime del populismo di chi è ossessionato da «ciò che si vede», e non sa cogliere le implicazioni delle diverse scelte. Se si smette di finanziare una miniera che dà lavoro a mille operai, ci sono certo mille famiglie che rimangono senza stipendio e devono affrontare una fase difficile. È così. Ma tassare il sistema produttivo per mantenere in vita quell'attività fuori mercato può voler dire distruggere duemila posti di lavoro: e questo è «ciò che non si vede». Si impedisce all'economia di crescere nei settori più dinamici e la si tiene ancorata ad attività non più socialmente utili, esageratamente costose e che logorano la salute.

La Thatcher, comunque, non ha sfidato solo i Ken Loach del facile sentimentalismo senza pensiero. Soprattutto, ha tagliato l'erba sotto i piedi agli innumerevoli parassiti che crescono attorno alla spesa e alle imprese di Stato, desiderosi di sedere nei consigli d'amministrazione del settore pubblico. Nell'Inghilterra para-sovietica della fine degli anni Settanta le aziende del privato erano spremute dal fisco per coprire ogni genere di burocrazia e innumerevoli apparati statali. Poco dopo il suo arrivo a Downing Street, un italiano radical-chic residente a Londra si lamentò con me perché dopo alcuni tagli doveva andare in biblioteca di persona a ritirare i volumi che gli interessavano, mentre in precedenza un addetto gli portava i libri direttamente a casa.

Aprire l'economia alla concorrenza, vendere i baracconi pubblici e ridurre le uscite ha ridato un futuro alla popolazione britannica. Alla fine degli anni Ottanta, nel Regno Unito la spesa pubblica complessiva era scesa sotto il 40% del Pil, ciò che ha permesso di lasciare alle spalle la crisi del decennio precedente.

Non è sorprendente, comunque, che molti commentatori abbiano usato parole velenose verso la Lady di

Ferro: gli ignavi non spiacciono a nessuno, mentre chi agisce con saggezza è spesso oggetto di critiche. I poveri argomenti usati da Prodi con la Lady di Ferro sono medaglie alla memoria e ulteriori riprove del suo valore.

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