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Chi ferma il Ponte sullo Stretto fa un disastro: più inquinamento, meno Pil e posti di lavoro

I dati costi-benefici dell’opera appena stoppata dai giudici

Chi ferma il Ponte sullo Stretto fa un disastro: più inquinamento, meno Pil e posti di lavoro
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Dopo la reazione a caldo del governo contro la Corte dei conti che ha negato il visto di legittimità alla delibera del Cipess sul Ponte sullo Stretto, i toni si sono volutamente abbassati per lavorare e trovare la soluzione per «andare avanti» con l’opera.
E in queste ore, di fronte all’opposizione che cavalca la decisione dei magistrati contabili per alimentare la contrarietà all’infrastruttura, vengono ricordati tutti i vantaggi che la minoranza non considera. Perché, viene fatto notare, le conseguenze della realizzazione non sono solo quelle che vengono sventolate da quello che viene ribattezzato il movimento del «No». E così viene ricordato che l’analisi costi benefici del Ponte - lunghezza di 3,6 chilometri e una campata di 3,3, che sarà realizzato dal consorzio Eurolink - è stata aggiornata un anno fa con il rapporto presentato da Uniontrasporti con la consulenza tecnico scientifica di Openeconomics.
Un documento che, viene specificato, ha usato come criteri le linee guida dell’Unione Europea.
Si calcola che a regime l’opera genererà un «Valore attuale netto economico» - che è l’indice che misura la sua redditività economico sociale - positivo, «pari a 1,8 miliardi di euro, realizzato, tra le varie voci, dalla riduzione di tempi e costi di trasporto ed emissioni inquinanti».
Il report parla di «vantaggi per il tessuto produttivo e turistico di tutta l’area, per la logistica, il traffico passeggeri e merci, al netto dei costi sostenuti dal sistema paese». Dopo Calabria e Sicilia i maggiori benefici sul Pil sono stimati in Lombardia, Lazio, Emilia-Romagna e Veneto grazie all’indotto e alle filiere produttive. Durante la costruzione, «l’opera sarà in grado di apportare un contributo di 23,1 miliardi, creare 36mila posti di lavoro stabili», compreso l’indotto. Già nella fase cantieristica il gettito di entrate fiscali stimato «è pari a 10,3 miliardi di euro».
Tra i vantaggi ci sarebbe il minor tempo di percorrenza necessario per attraversare lo Stretto, sia per i passeggeri che per le merci, con «un risparmio di costi esterni dovuto all’abbassamento delle emissioni inquinanti».
L’unico fattore negativo citato è «l’aumento dell’incidentalità, oggi inesistente». Ci vorranno 15 minuti in treno, rispetto agli attuali 120 minuti, e 10-13 minuti in auto, rispetto agli attuali 70 minuti.
Inoltre il Ponte dovrebbe portare a «un importante trasferimento di traffico verso la modalità ferroviaria», da quello marittimo e aereo, che «permetterà una riduzione di circa 200mila tonnellate di Co2 all’anno», ma «nell’arco 2024-2063, di circa 12,8 milioni di tonnellate di Co2». Calcoli che sarebbero «comprensivi dei 2 milioni che saranno generate durante la fase di costruzione». Quanto all’impatto dei costi, secondo un'analisi del Centro studi di Unimpresa, con un investimento previsto pari a 13 miliardi di euro il Ponte potrebbe generare ricavi annui stimati tra i 535 e gli 800 milioni di euro, grazie a un flusso di traffico previsto di 25 milioni di veicoli e 36mila treni ogni anno.

Il dossier prende come riferimento una tariffa media per veicolo pari a 15 euro - 10 euro per le auto, 20 euro invece per i camion - con una distribuzione ipotetica del traffico al 50% tra mezzi leggeri e pesanti. Il valore commerciale del traffico ferroviario è stimato pari al 30% del totale. Ma le stime sul traffico potrebbero essere anche tra i diversi nodi contestati dalla Corte dei conti.

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