Berlino aiuta le nostre imprese. Ma è un ricatto

Chi riceve soldi deve comprare macchinari tedeschi. Così cresce solo la Germania

Berlino aiuta le nostre imprese. Ma è un ricatto

Milano - Nell'area dell'euro vige la legge del più forte, cioè vige la legge tedesca. Alla solidità e alla potenza di un sistema industriale super-competitivo si è aggiunta la dittatura dello spread a rendere ancora più forte Berlino rispetto ai suoi partner di Eurolandia.
E così anche le imprese italiane che cercano di battere la crisi interna aprendosi a nuovi mercati, possono trovarsi nella difficile condizione di dover lasciar da parte ogni «patriottismo» e affidarsi al mentore teutonico. È il caso della Falck Renewables, impresa quotata che opera nel settore delle energie rinnovabili. L'azienda ha scelto di avviare un nuovo parco eolico in Francia. Si tratta di investimenti il cui ordine di grandezza è nell'ordine della decina di milioni di euro. Un'azienda, ovviamente, ricorre al finanziamento bancario. Che cosa fare? In questi casi, ci sono due possibilità: appoggiarsi a una banca del luogo oppure portarsi dall'Italia il partner. C'è la terza ipotesi: l'aggressiva opzione tedesca. La KfW (l'equivalente germanico della nostra Cassa depositi e prestiti) tramite la sua banca per le esportazioni (IpexBank) ha contattato Falck Renewables proponendole un tasso ancora più basso (in Germania i finanziamenti costano poco più del 3%) a condizione di acquistare apparecchiature tedesche. Non c'è stata partita: ha vinto la KfW. Basta fare un semplice esempio. Uno 0,5% in meno di interessi su un milione di euro è un risparmio di 50mila euro. Che non sono bruscolini.
Da dove nasce il dumping (ovvero la pratica concorrenziale «atipica») tedesco? Ovviamente dallo spread: il Bund decennale tedesco rende l'1,67% contro il 4,33% del nostro Btp. I titoli di Stato danno l'esatta immagine di quanto alla Germania costi poco finanziarsi e quindi come possa proporre condizioni più vantaggiose degli altri Paesi Ue in virtù del suo strapotere derivante dall'essere l'unica vera beneficiaria. Senza contare che la KfW è un'istituzione pubblica e dunque gode della stessa affidabilità dei Bund. In virtù di tutto questo può detenere attività per 600 miliardi di euro (il doppio di quelle della nostra Cdp) e finanziare lo sviluppo della Germania sia nel mercato domestico che su quello internazionale.
Può una banca italiana fare altrettanto se i costi che deve sopportare per accedere al mercato sono di gran lunga superiori a quelli tedeschi? Ovviamente, no. E così alla fine la Germania non solo diventa l'unica beneficiaria della moneta unica giacché la rivalutazione dell'euro sui mercati internazionali l'ha colpita in misura minore rispetto agli altri Paesi, Italia in primis. Ma alla fine diventa una regina incontrastata anche all'interno di Eurolandia. Tutta l'austerity e i sacrifici dei Paesi «ripetenti» come quelli imposti da Frau Merkel a Mario Monti non ribalteranno mai lo squilibrio.
Il caso di Falck Renewables rappresenta un mancato introito per una banca italiana (ammesso che fosse stata scelta come finanziatrice) perché la produzione di impiantistica eolica non è certo uno dei tratti distintivi del «made in Italy».

Ma cosa sarebbe accaduto se vi fosse stata necessità di un tornio, di una normale turbina a vapore o di una normale fornitura di mezzi di trasporto (come autobus o treni)? In quel caso, la perdita per il sistema-Italia sarebbe stata doppia. Contro gli U-boot e gli incrociatori Bismarck di Berlino non si può combattere con le baionette. Anche per questo le banche italiane e la Cdp stanno passando al contrattacco. Ma questa è un'altra storia...

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