Il cinico e l'ebreo osservante che litigano per Yom Kippur

La zanzara è singolare, ma per somma disdetta a pungere sono in due: Giuseppe Cruciani, il conduttore, e David Parenzo, la spalla. Ai politici - donatori di sangue prediletti dall'insetto ematofago che ogni sera, dal lunedì al venerdì, si libra nell'etere per 100 minuti abbondanti - è andata ancora bene. Quando Cruciani nel 2006 ideò il popolare programma di Radio 24, lo spunto gli fu suggerito dall'ascolto del Volo del calabrone di Nikolaj Rimskij-Korsakov. Avesse optato per questo titolo, ne sarebbe venuta fuori una roba da shock anafilattico. Così, invece, solo un pomfo, una grattatina e via.
«Giornalisti di razza», li ha definiti Vittorio Feltri, «di una razza particolare: quella che non conosce né timidezze né riverenze. E il risultato è il successo di pubblico». Audiradio conferma: a partire dalle 18.30, la curva d'ascolto di Radio 24 s'impenna, con punte che arrivano al 6 per cento di share. Un'audience quasi scontata quando si riesce a strappare a Oliviero Toscani che Vittorio Sgarbi «è impotente» e che Beppe Grillo «sembra Goebbels»; a Vittorio Sgarbi che Oliviero Toscani «ha delle pulsioni omosessuali» ed «è un cocainomane»; a Marcello Dell'Utri che il pm Antonio Ingroia «è un fanatico, un ayatollah, il Khomeini della magistratura»; a Domenico Scilipoti che «i gay fanno estinguere la razza umana»; a Emilio Fede che guadagna 20.000 euro netti al mese, cioè «niente». Col conduttore che talvolta apostrofa gli ascoltatori in questo modo: «Lei è un cretino, è importante che lei sappia che è un cretino». Cruciani e Parenzo sono bravissimi anche a litigare fra di loro in diretta. Il primo ha appena annunciato che vuole licenziare il secondo perché in settimana s'è permesso, da ebreo osservante, di saltare due puntate in occasione dello Yom Kippur, il Giorno dell'espiazione, il più importante dell'anno per gli israeliti, quello che contempla il digiuno completo e l'astensione da qualsiasi attività per 25 ore. La festività cominciava alle 18.30 di martedì e finiva alle 19.50 di mercoledì e, tra Cruciani e Jahvè, Parenzo ha preferito non inimicarsi Jahvè.
Una coppia peggio assortita era difficile metterla insieme, soprattutto nell'emittente del Sole 24 Ore, il quotidiano politico-economico della Confindustria. Cruciani, 46 anni, romano di nascita, milanese d'adozione, ha studiato al liceo classico Virgilio della capitale: «Tutti di sinistra, io difendevo i fascisti». Primo voto al Pli, poi ai radicali («tranne quando si sono alleati con i comunisti»), quindi a Silvio Berlusconi («varie volte»), al ds Filippo Penati, alla Lega. Esordì a Radio Radicale: «Ricordo solo i toscani di Marco Pannella, il fumo è l'unico vizio che ho preso da lui». Poi fu assunto all'Indipendente, cronaca di Roma, «dove imparai il cinismo della vita»: doveva fare le pulci a Francesco Rutelli, nonostante votasse per lui. Missione compiuta, e infatti Prima Comunicazione lo soprannominò «il Minzolini del Campidoglio» per la pertinacia con cui scopriva gli altarini del sindaco. Infine a Liberal, al Foglio e a Euronews prima dell'approdo a Radio 24. Ha fama di dongiovanni.
Parenzo, 36 anni, padovano di nascita, romano d'adozione, ha studiato al liceo classico Concetto Marchesi nella città d'origine e ha mollato la facoltà di giurisprudenza («padre avvocato, nonno avvocato, bisnonno avvocato: ho tradito») per farsi le ossa a Telenuovo, la televisione più vista in Veneto. Ha avuto per maestri Sandro Parenzo come editore, Angelo Guglielmi per le chiacchierate nel corso degli anni passati a Telelombardia a condurre Iceberg e Luca Telese, che l'ha portato a La7. Ma il suo vero mentore fu Sandro Curzi: «Su Liberazione mi faceva tenere la rubrica Hamburger e polenta, storie dal Nordest. Scrivevo quello che volevo, anche se non sono mai stato iscritto a Rifondazione». Ciononostante passa per comunista. «Un radicale di sinistra senza fissa dimora», corregge. Memorabili le sue telefonate in cui si spacciava per Umberto Bossi: ha fatto cadere nel tranello persino Alberto Maccari, direttore del Tg1. «Il finto Bossi ormai è andato in pensione, come quello vero. È stato un espediente per raccontare al pubblico radiofonico che i potenti, tutti, si danno di gomito».
Com'è che uno nato a Roma va in onda da Milano e uno nato a Padova si collega da Roma?
Cruciani: «M'è toccato. Radio 24 condivide la sede col Sole 24 Ore. Sono venuto a Milano con ritrosia. Ora non me ne andrei più. Mi hanno proposto di fare il capo della redazione romana, non ci ho dormito per due notti e poi ho rifiutato. Se torno a Roma, non mi fermo più di due giorni. Non la sopporto più».
Parenzo: «Ho una figlia a Siena, i miei genitori abitano a Padova, io vivo a Roma e giro l'Italia come mi chiede La7 per In onda. La capitale è una straordinaria suburra in cui tutto è possibile. Basta non contaminarsi troppo. Una volta al mese devo respirare aria pulita e vengo a Milano».
Perché gli ospiti della Zanzara le sparano grosse?
Cruciani: «Non vorrebbero spararle. È complicatissimo farglielo fare. Devi intercettare la loro botta di matto di quel giorno. Quando attaccano col pippone in politichese, io sudo, perché so che gli ascoltatori si stanno annoiando».
Chi eccelle nello spararle grosse?
«Ci sono i mostri e i temerari. Il campione dei primi è Sgarbi, showman nato. Ci vuole del genio per dire che, “se non vi siete mai drogati e se non l'avete mai preso nel culo”, con riferimento ai candidati Gianfranco Micciché e Rosario Crocetta, “alle prossime elezioni regionali siciliane dovete votare me”. Fra i secondi il top è l'imprenditore Massimo Calearo, ex pd, che arriva in trasmissione su una Porsche con targa slovacca, “così posso scaricare tutte le spese dell'auto”, e confessa che s'è recato alla Camera solo tre volte dall'inizio dell'anno, che andare a premere un pulsante non serve a nulla epperò lo stipendio da parlamentare gli serve per pagare il mutuo della casa, 12.000 euro al mese».
Quando litigate in diretta, lo fate per davvero o è tutta una recita?
Parenzo: «Per davvero e che diamine! Bud Spencer e Terence Hill litigavano per davvero, sai? Idem Stanlio e Ollio, Sandra e Raimondo, Bob Woodward e Carl Bernstein (i giornalisti che scoprirono lo scandalo Watergate, ndr). L'ultima è esagerata».
Cruciani: «Ogni tanto gli tengo lezioni di cinismo, ma lui niente, non ce la fa proprio. Snob com'è, s'appassiona ancora agli operai che perdono il lavoro, alle manifestazioni, alle proteste, a queste minchiate».
Lei Cruciani difende Beppe Grillo e il suo guru Roberto Casaleggio, che invece per Parenzo sono Medvedev e Putin. Perché?
«Perché, dopo Berlusconi, hanno compiuto la più straordinaria operazione politica dell'ultimo mezzo secolo: il nulla elevato al 18 per cento. Due geni assoluti. Guidano il Movimento 5 stelle nell'unico modo possibile: come se fosse una setta».
Parenzo: «Io credo che i grillini siano infinitamente migliori dei due dittatori e che presto la democrazia trionferà anche nel partito sovietico di Grillo e Casaleggio. Lo sfiduciato Giovanni Favia non farà la fine di Lev Trotsky».
Oliviero Toscani vi ha detto che non ne può più di Pier Luigi Bersani e Massimo D'Alema e che voterà Grillo. E lei, Cruciani?
«Io voterei Matteo Renzi. Anzi, andrò alle primarie. E voterei anche Flavio Tosi. Ha la giusta dose di paraculismo democristiano, temperato da un rigore nordico che mi piace. Ho litigato praticamente con tutti gli ospiti del Carroccio, tranne che con Tosi. S'arrabbiano perché gli tiro fuori quello che sono. Il migliore è Santino Bozza, consigliere regionale veneto. Sui gay ne ha dette di tutti i colori, in dialetto. Uno spettacolo».
Chi è la sua bestia nera in politica?
«Gianfranco Fini. Che però, essendo il vuoto, non mi sta nemmeno sulle palle».
Secondo Il Fatto Quotidiano lei è un provocatore di professione.
«Perché loro che cosa sono?».
Che cosa pensa di Marco Travaglio?
«Grandissimo uomo d'affari, abilissimo venditore di se stesso. Non gli sentirai mai dire: “Ho sbagliato”. È la sua forza».
Ma qui nella radio della Confindustria lei si sente libero?
«Ho assoluta autonomia. Mi rompono i coglioni solo per le parolacce».
Chi glieli rompe?
«Il Comitato di redazione, ti rendi conto? Garantisce i meno capaci. Mi attacca per cose ridicole, spesso patetiche. Ma io me ne fotto. Sono tutti di sinistra anche qui al Sole 24 Ore. Comunque per le parolacce s'arrabbia l'intera azienda, ai massimi livelli».
Intende dire Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria?
«No, Giancarlo Cerutti, presidente della casa editrice».
Fra le puntate di quest'anno non ne ricordo neppure una che non dico ridicolizzasse, come fate d'abitudine, ma almeno tirasse in ballo un industriale o un'industria.
«Vero. Ma non è accaduto per paura. Abbiamo paragonato Luca Cordero di Montezemolo al Sòr Tentenna. Il fatto è che, se vuoi ridicolizzare qualcuno, devi sapere di chi parli, e io di economia so poco o nulla. Non accetto che si dubiti della mia autonomia intellettuale, mi manda fuori di testa, perché è ciò di cui vado più orgoglioso. Non ho amici importanti, non frequento direttori, non faccio parte di cordate o parrocchie, non sono servo di nessuno».
Solo Luca Telese, che le faceva da spalla prima di Parenzo, ebbe il coraggio di dare della cretina a Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, per l'assurda denuncia sulle telefonate scherzose che un vicedirettore del Giornale fece al suo addetto stampa.
«Lì sbagliai. Dissi al direttore di Radio 24: mettiamolo in naftalina per un po'. Invece avrei dovuto difendere la sua libertà. Telese la prese male e se ne andò. L'unico suo errore fu fare la vittima e incolpare del licenziamento Gianni Riotta, all'epoca direttore del Sole 24 Ore, che invece non c'entrava per nulla».
Pensa che Pubblico, il quotidiano fondato da Telese in odio al Fatto Quotidiano dove lavorava, avrà successo?
«Lo spero per lui, anche se non ho ben capito a quale pubblico si rivolga. Ho cercato di spiegarglielo: ti serve dell'altro. Dei lettori, per esempio. Ma Luca se la caverà. È il Maurizio Costanzo del futuro. Stesso baffo, stessa rotondità, stessa capacità affabulatoria. Quando avrà esaurito i furori ideologici operaisti, gli resteranno le migliori qualità di Costanzo. Non ha vita privata, riesce a fare mille cose contemporaneamente. Mi ha portato a cena a Milano. Per un'ora e 20 ha parlato solo lui e intanto rispondeva a una quarantina di chiamate sul cellulare».
Insomma, fra Telese e Travaglio sceglie ancora Telese.
«Gliel'avevo pronosticato fin dall'inizio: al Fatto Quotidiano finirai male; tu sei tondo, Travaglio è aguzzo; tu hai un lato umano, Travaglio no. Ha presente il vicedirettore del quotidiano giustizialista mentre danza nel programma tv di Victoria Cabello vestito da sovietico, col colbacco di astrakan sulla testa? Ecco, Travaglio è quello là».
Dagospia ha scritto di una «liaison giornalistico-passionale tra Selvaggia Lucarelli e Giuseppe Cruciani». Le risulta?
«Che vuoi da me?».
Fa il reticente?
«Non so che significhi liaison giornalistico-passionale. È una ragazza sveglia, brava, sbocciata pure in ritardo, dal punto di vista professionale, intendo».
Ricordo male o sto parlando col Cruciani che fece scoppiare uno scandalo perché fu sorpreso da un paparazzo a baciare la compagna di Jovanotti?
«Ma era il 2002! Poi si sono sposati. Perché ritornare su questo episodio che ha provocato dolore? Per carità, Novella 2000 ci fece la copertina. Però ricordarlo dopo dieci anni non ha senso».
Cercavo solo di impartirle una lezione di cinismo.
«Non mi serve. Quando pochi giorni fa mi hanno dato il premio della satira politica a Forte dei Marmi, ho dichiarato: io non lavoro per cambiare il mondo, non me ne frega nulla di migliorare la società. Credo di avere senso civico, pago le tasse, e basta. Lavoro per divertirmi, per guadagnare sempre di più e per lasciare un piccolo segno. Tutto il resto è ipocrisia. Si sono guardati in faccia. Avranno pensato: ma perché abbiamo dato il premio a uno così?».
Non temete di finire prima o poi schiacciati come le zanzare?
«Tutto ha una fine. Non credo alle trasmissioni che vanno in onda per 20 anni. Persino Marco Mazzoli, che dal 1999 conduce Lo zoo di 105 su Radio 105, il programma in assoluto più ascoltato, pensa che sia ora di chiuderlo».
Parenzo: «Una volta un tassista di Roma mi ha tirato su. Ho chiesto: a Montecitorio, grazie. E lui: “Ahò, ma lei non è quer cojone comunista de Parenzo? Scenda subito!”. Mi danno anche del giudeo. Eppure eccomi qua, ancora vivo.

Cruciani vuole cacciarmi? S'accomodi. Però 25 ore di digiuno senza bere né mangiare, staccando dal lavoro per un giorno intero, farebbero bene anche a un cinico come lui».
(616. Continua)
stefano.lorenzetto@ilgiornale.it

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