Il Foglio ha scritto che è il volto bello del comunismo, e che se facesse amicizia con Mara Carfagna le due parlamentari rappresenterebbero la bellezza delle larghe intese. Ma più che dall'avvenenza o dal taglio delle giacche nere, di Laura Boldrini colpiscono le esternazioni barricadere e combattive. Segreto di Stato, 25 Aprile, il disagio sociale, la sparatoria davanti a Palazzo Chigi: gli italiani sono sconcertati da una presidente della Camera che sembra prendere a spallate le istituzioni più che puntellarle.
«Mi unisco a chi chiede l'abrogazione completa e definitiva del segreto di Stato per i reati di strage del terrorismo perché in un Paese civile verità e giustizia non si possono né barattare né calpestare», ha detto a Milano alla manifestazione per l'anniversario della Liberazione. Una festa in cui, stando alle sue parole, gli «italiani liberi» sarebbero soltanto quelli presenti nelle piazze, «piazze vive» perché «festeggiano la riconquista della libertà». E sulla crisi l'erede di Gianfranco Fini a Montecitorio ha usato la bilancia a due pesi. Da un lato «non è lecita alcuna confusione tra chi spara e chi viene colpito», ma dall'altro «sulla crisi le istituzioni e la politica devono tornare a intervenire e dare risposte quanto prima, anche perché in più di un caso - lo stiamo vedendo con frequenza crescente - la crisi trasforma le sue vittime in carnefici».
Le vittime diventano carnefici per colpa della crisi. Sembra ricalcato dal manuale del perfetto marxista, laddove si teorizza che non esistano responsabilità personali ma soltanto sociali. Le colpe sono pubbliche, della «politica che non dà risposte», dei «cattivi esempi». Un modo per giustificare a prescindere, perché se non c'è peccato non c'è neppure il peccatore. La solidarietà della Boldrini al brigadiere Giangrande e alla figlia è arrivata in un secondo momento.
E per fortuna che i due carabinieri feriti non hanno preso in parola l'ex portavoce dell'Alto commissariato Onu per i rifugiati. Anch'essi, i militari, sono vittime. Vittime colpite non dalla crisi, ma dai proiettili esplosi dalla pistola di Luigi Preiti. E se si fossero trasformati in carnefici? Se avessero sparato contro l'attentatore? Non sarebbero finiti loro sul banco degli imputati per eccesso di legittima difesa, come purtroppo è successo già troppe volte in questo nostro Paese?
In realtà non c'è nulla di cui stupirsi nelle parole di Laura Boldrini. La signora è coerente con se stessa, con il suo passato e le sue idee coltivate negli anni. Idee di sinistra, giustificatrici a prescindere, per le quali le colpe sono sempre collettive e mai personali, anche se Preiti ha pianificato con lucida follia in 20 giorni l'agguato di domenica mattina.
Non c'è proprio niente da meravigliarsi per le cose dette da una parlamentare eletta con il partito di Nichi Vendola. Nelle piazze e sui giornali ricalca le posizioni espresse quando lavorava per le Nazioni Unite. A ogni sbarco di disperati sulle coste italiane, l'allora portavoce dell'alto commissario scaricava le colpe dell'accaduto sul «sistema», particolarmente quando al governo c'era Silvio Berlusconi. Le emergenze, le ondate di sbarchi da decine di migliaia di persone erano parole da esorcizzare.
Le emergenze erano provocate dal governo, dai politici, «dal sistema che non funziona come avrebbe dovuto». Oppure dagli italiani stessi, nei quali «a prevalere sono l'ansia, la paura e la non disponibilità». La Boldrini lamentava che «non si parla di gente che sta arrivando dal Nord Africa per motivi umanitari, bensì di clandestini, che è una parola con un'accezione negativa che dovrebbe essere messa al bando».
E i negrieri che organizzano la tratta? La complicità dei governi nordafricani che chiudono gli occhi davanti ai mercanti dei nuovi schiavi? Quello che vedeva la Boldrini era che «c'è molto poco slancio nel dare aiuti» perché «questi arrivi vengono percepiti come invasioni». È la posizione di quando l'immigrazione era governata da Livia Turco. Laura Boldrini è soltanto una persona coerente con le proprie idee e con quelle di quanti l'hanno eletta al Parlamento.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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