Gli ha offerto una bibita, contro il «logorio» della vita moderna. Gli ha offerto la solita sponda, perché in questo momento tra Quirinale e Palazzo Chigi c'è «identità di vedute». E alla fine dell'udienza gli offerto pure un consiglio: metti i partiti di fronte alla loro responsabilità e poi tira le somme. Crisi? No, per ora non se ne parla, secondo il Colle il governo dovrebbe reggere alle spinte e alle controspinte di Pd e Pdl. Ma paradossalmente, il problema è proprio questo: vale la pena farsi rosolare a fuoco lento? E quanto reggerà il Paese nel limbo di una prolungata «semi-stabilità»?
Venerdì sera Letta è salito per fare il punto della situazione. Napolitano l'ha trovato tranquillo ma anche molto determinato, appunto, a non farsi «logorare». Era «sul pezzo», raccontano. L'orizzonte temporale dell'esecutivo è sempre lo stesso, il 2015, dopo cioè il turno di presidenza italiana dell'Unione europea. Però l'idea comune di Palazzo Chigi e Quirinale è che non si possa andare avanti a lungo in questa maniera, galleggiando tra veti e ricatti. Il Pdl fa muro contro l'ipotesi di alzare l'Iva dal 21 al 22 per cento e il Pd al contrario vuole rimettere mano all'Imu. Intanto manca sempre quel miliarduccio necessario per restare nei parametri fissati dalla Ue. «Non voglio stare al governo ad ogni costo», si è sfogato il premier. E per uscire dalla palude, il capo lo ha invitato a sottoporre la maggioranza a una specie di «prova-finestra», di dentro o fuori.
Così adesso Letta volerà prima in Canada e poi a New York per l'assemblea generale dell'Onu, vedrà Barak Obama e cercherà qualche investitore per il Belpaese. Quando tornerà, se le tensioni non saranno calate, se la tenaglia polemiche Imu-Iva non si sarà allentata, passerà «all'attacco». Tra le ipotesi studiate a Palazzo Chigi e concordate con il Colle per rompere il braccio di ferro, quella di preparare un decreto o un maxiemendamento economico da presentare al Parlamento e sul quale chiedere la fiducia. O la va o lo spacca. Letta è convinto che andrà, le minacce di crisi sarebbero soltanto un bluff.
Comunque sono giornate di tensione. Re Giorgio, appena all'inizio del suo secondo settennato, sta un po' vivendo la sindrome del primato, una specie di solitudine dei numeri primi. Lui stesso l'altro giorno, parlando al convegno della Luiss su Loris D'Ambrosio, se n'è un po' lamentato: «Vedete, il mandato presidenziale è obbiettivamente un esercizio solitario, per la stessa natura monocratica di questa istituzione». Il peso è gravoso. Napolitano non ha fatto nemmeno in tempo, se non a neutralizzare, quanto meno a contenere lo strappo sulla giustizia dopo la condanna di Berlusconi, e già si ritrova a fronteggiare una nuova emergenza, la salvezza di un governo di servizio, necessario, ma sul quale si scaricano tensioni tra i partiti e interne a loro. Le larghe intese si stanno restingendo.
Alternative? Ufficialmente zero, la crisi non viene nemmeno presa in considerazione, si vedrà, semmai, se accadrà, al momento opportuno. Ma il capo dello Stato, che non si può far trovare impreparato, sta già cercando di risolvere il rebus. Come nel cubo di Rubik, c'è sempre qualcosa fuori posto.
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