Roma - Il presidenzialismo no, non se ne parla neanche, nel senso che Giorgio Napolitano non vuole nemmeno affrontare la questione. «Non dirò nulla, né questa sera, né mai». Ma non se ne parla anche in un altro senso, perché al capo dello Stato, che pure qualcuno accusa di gollismo strisciante, la cosa non piace per niente. Dagli «equilibri» da ritrovare alla «figura neutra e imparziale» del presidente che svanirebbe, fino ai famosi pesi e contrappesi da ricalibrare: tanti sono i dubbi di King George II all'ipotesi di introdurre l'elezione diretta, almeno per ora, almeno in questo quadro. La situazione infatti è ancora precaria e il governo Letta, che si sta «muovendo bene», è pur sempre «eccezionale e a termine».
Palazzo aperto, folla nei giardini, la banda che suona il Nessun dorma e C'era una volta in America, Napolitano che stringe mani e si concede alla fotografie. Solo a quelle, perché sul presidenzialismo non vuole proprio entrare, per non dare fastidio al governo. «Sul merito delle riforme non dico nulla». Eppure il problema è all'ordine del giorno. «Se ne occuperà la commissione parlamentare». Provocherà instabilità? «Ognuno ha le sue convinzioni».
Prudente, prudentissimo. «Mi volete far dire qualcosa che non ho intenzione di dire». Però, come Napolitano la pensi sull'argomento è noto. Basta riprendere l'intervento pronunciato esattamente un anno fa a Pordenone, rileggere come liquidò la pratica. «Si può benissimo discutere di come ripensare la figura del presidente della Repubblica, ma in questi anni ho maturato la convinzione che i nostri costituenti nel '46-'47 fecero uno straordinario sforzo di equilibrio, sintesi e lungimiranza». E ancora: «Avere al vertice dello Stato una figura neutra, politicamente imparziale, che restasse estranea al conflitto tra le forze e le correnti ideologiche, che svolgesse funzioni di moderazione e garanzia è stata una soluzione motivata». Tutto può cambiare, «io sono spettatore», però «bisogna vedere quali equilibri si creano in luogo di quelli che si superano e accantonano».
È passato un anno e il capo dello Stato non ha certo cambiato idea: se si tocca qualcosa, si deve toccare tutto. Però, visti i chiari di luna, considerata la situazione politica, meglio sorvolare. Re Giorgio infatti non ha alcuna intenzione si danneggiare la sua creatura, il governo di larghe intese guidato da Enrico Letta. È chiaro, non durerà in eterno. «Ho apprezzato quello che hanno fatto i partiti. È stata una scelta che comporta dei sacrifici da parte delle singole forze politiche, una scelta eccezionale e senza dubbio a termine».
A termine ma non a scadenza. Il primo tagliando il prossimo 2 giugno, quando «si capirà» come vanno le cose, «a che punto siamo, se l'Italia si è data una prospettiva nuova, più serena e sicura». Letta ha parlato di 18 mesi per fare le riforme, il presidente è d'accordo. «È un tempo più che appropriato, il processo è complesso, si tratta di tenere il ritmo». In cima alla lista c'è la legge elettorale. «È un nodo da cui bisogna uscire. Tutti devono collaborare. I partiti non possono restare attaccati alla propria bandiera, al proprio modello». Tanto più che «può darsi ci sia una nuova sentenza della Consulta, che questa volta potrebbe indicare più tassativamente i punti da modificare della legge vigente».
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