Roma - Una richiesta di impeachment, ma che volete che sia. Giorgio Napolitano infatti è più che tranquillo, è indifferente. Quella dei grillini la considera un'arma scarica già in partenza, una bolla propagandistica, un'iniziativa di cui non vale nemmeno la pena parlare. E quando lo intercettano all'uscita di Palazzo Spada, dopo l'inaugurazione dell'anno giudiziario del Consiglio di Stato, concede poche parole: «Sono sereno per la mia situazione personale, ma preoccupato per quella del Parlamento. Con quelle scene di violenza che abbiamo visto, con quegli insulti sentiti...».
L'impeachment finirà nel nulla, anzi forse l'iter dell'incriminazione nemmeno comincerà. In questo senso si spiega il basso profilo scelto dal presidente, che non vuole riconoscere a Beppe Grillo la statura di antagonista. Così non replica ai Cinque stelle, non entra nel merito della accuse. «La procedura faccia il suo corso», ha detto giovedì. Insomma si accomodino pure, tanto non arriveranno da nessuna parte. Anzi, finora l'unico risultato concreto raggiunto da M5S è stato quello di aver costretto vecchi e più recenti critici e oppositori a difendere il Quirinale. Un boomerang.
Però tutto ciò non basta a tenere completamente tranquillo Napolitano. Tumulti, commissioni bloccate, deputati che non riescono a entrare in aula, lavori sospesi o rallentati. Se il capo dello Stato è «preoccupato per il Parlamento», due sono i motivi. Il primo è di principio, di etica istituzionale. A chi gli parla in queste ore, il presidente confida di essere «rimasto colpito» di quanto è accaduto a Montecitorio. Si può e si deve dissentire, si può pure protestare con energia e vivacità. Ma non si può pretendere di bloccare la normale attività delle Camere, impedendo ai deputati e ai senatori di fare le leggi: è un attacco alle istituzioni, un atteggiamento «antidemocratico e inaccettabile». Cose «mai viste» in più di mezzo secolo di vita parlamentare, nemmeno durante la guerra fredda.
Il secondo motivo è più pratico: il caos organizzato montato dai Cinque Stelle può ostacolare la riforma elettorale. L'Italicum, frutto dell'accordo tra Renzi e Berlusconi, ha già i suoi problemi, i franchi tiratori sono in agguato e quindi non si sentiva alcun bisogno di ulteriori turbative, proprio ora che l'obbiettivo riformista in base al quale è stato rieletto è a portata di mano. Meglio dunque non alimentare altre tensioni, evitando la polemica diretta con il M5S.
Da qui la scelta di parlare il meno possibile e di non entrare nel merito dei sei capi d'accusa. Tanto ci pensa il consiglio dei ministri con la sua dichiarazione di solidarietà, ad offrire uno scudo, se mai servisse: «Una provocazione, una nuova tappa dell'attacco alle istituzioni». E poi stavolta nemmeno tutti i grillini sembrano d'accordo con le direttive di Grillo e Casaleggio. Molti hanno obbedito per disciplina interna, altri hanno messo in piazza il loro dissenso. Tra loro, Luis Alberto Orellana.
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