Comicamente nel vertice antimafia che si è svolto l'altro ieri a Palermo, si potrebbe dire per paradosso che Alfano ha messo in guardia i magistrati da se stesso. Nel gioco delle parti, i magistrati lo hanno ascoltato - in qualità di ministro dell'Interno - fingendo di dimenticare quello che pensano e hanno detto del partito (Forza Italia-Pdl) di cui è stato segretario fino a pochi giorni fa. Ma le parole corrispondono ai fatti o sono in libertà?
Perché Alfano, con aria grave e impostata, ha dichiarato: «Abbiamo voluto organizzare a Palermo il Comitato nazionale per l'ordine e la sicurezza pubblica per manifestare ai magistrati oggetto d'insidiose minacce la nostra vicinanza». Ed eccoli, infatti, vicini. Ma Di Matteo con Ingroia ha pervicacemente e insistentemente ritenuto che il partito di cui Alfano è stato segretario e che lo ha voluto al Ministero dell'Interno, è stato fondato dalla mafia in combutta con Dell'Utri e Berlusconi. Oggi Di Matteo e Alfano, con un altro manipolo di magistrati, sono insieme a combattere la mafia. Dei magistrati Alfano dice: «Abbiamo nei loro confronti una particolare attenzione, vengono sfidati dalla mafia per i risultati raggiunti». Da non credere.
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