A quae et igni interdictio. La privazione dell'acqua e del fuoco. Toccò a Cicerone e a Dante e non solo a loro, naturalmente. È l'esilio. È il divieto di mettere piede in città. Non è la morte e neppure il carcere. È negarti la casa, gli affari, gli affetti, il passato. È decretarti «bandito». O come accade oggi nel mondo virtuale «bannato». Il senso più profondo è un modo per dirti che non sei più «cittadino». Ti lasciamo vivere ma non hai più diritto ad appartenere alla comunità politica della città. I giudici italiani hanno riscoperto questa pena antica, che viene dalla tradizione della polis e dell'urbe. È una punizione che da sempre evoca più la politica che il semplice malaffare. Forse perché l'esilio più duro è quello che ti punisce anche come soggetto politico. Cicerone paga la vendetta dei populares e il disprezzo degli optimati. Dante il prezzo della sconfitta nella guerra civile tra bianchi e neri. Tutti e due scoprono come sa di sale il pane altrui.
Non è che qui ora si vuole paragonare il sindaco di Cortina e il capogruppo Pdl in Regione Villani, interdetto da Bologna, ai due padri delle lettere. Non è il caso. Ma è suggestivo questo ritorno di pena, questa riscoperta del divieto dell'acqua e del fuoco. Sembra quasi una scelta simbolica. Di tutte le pene è la più politica.il commento 2 Pena antica che annienta il cittadino
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