È il compagno G il simbolo elettorale del Pd

Fu così che nacque il meccanismo perverso: il Pci con tutti i suoi Greganti duri e puri faceva la cresta dove poteva e incamerava ricchezze

È il compagno G il simbolo elettorale del Pd

Una bugia grande e venefica galleggia da vent'anni sull'Italia, rendendo tutti miopi o ciechi. Quella secondo cui «rubare per il partito, è comunque molto meno grave che rubare per le proprie tasche». Ancora oggi viene ripetuta nei soliti talk show come una litania: «Ah beh, rubava per il partito? Allora...». Allora che cosa? Fermo restando che rubare, taglieggiare commette reati è sempre roba da codice penale e da galera, bisogna avere il coraggio di dire che rubare «per il partito» è infinitamente più grave che farsi le cafonesche rubinetterie d'oro nella terza casa alle Bahamas, o anche a Pizzo Calabro. Il perché è (dovrebbe essere) ovvio: chi ruba per truccare la democrazia violandone le regole fondamentali (usare ricchezze proibite) commette un delitto che colpisce l'intera comunità, il Paese intero. Chi si intasca mazzette arrotolate di banconote e se le va a spendere in proprio, è da condannare ma non per aver fatto danni alla democrazia. Ora, date un'occhiata a Primo Greganti: non è forse stato da tutti trattato come un eroe? Il «compagno G» non parla, il «compagno G» si fa la galera me per lui il partito prima di tutto, e dunque ce ne fossero di «compagni G» della vecchia scuola, che rubano come formichine, ma portano il malloppo alle casse di casa. Fu così che nacque il meccanismo perverso, quei tempi lontani della guerra fredda: il Pci con tutti i suoi Greganti duri e puri faceva la cresta dove poteva e incamerava ricchezze e gli altri partiti, sdraiati sulla linea, non si tiravano indietro. Anzi, di più: poiché il Pci si portava a casa ogni anno somme miliardarie illegali in dollari consegnate a Mosca al loro corriere dal signor Ponomariov, gli altri partiti italiani sceglievano di non impedire ai comunisti di fare come avevano sempre fatto, per avere l'alibi di fare altrettanto in un regime di omertà comune e collettiva: se così fan tutti. Adesso, vent'anni son passati, il «compagno G» è imbiancato e tutto è rimasto come prima. Forse il «compagno G» è stato nel frattempo messo ai margini, esiliato, umiliato, sepolto nella damnatio memoriae? Ma manco per il cavolo. Il brav'uomo parla un po' come il brav'uomo Gelli: quello vendeva materassi e Greganti faceva e vendeva casette di legno, che magari sarà anche vero. Non vogliamo qui entrare nell'inchiesta giudiziaria ampiamente trattata su queste pagine, ma sottolineare il dato di permanenza, una continuità genetica, antropologica: Suvvia, non vogliano forse bene al «compagno G» che ha fatto i suoi sacrifici per il partito? Diciamolo: è e resta uno dei nostri. E infatti lo è: era e resta e sarà uno dei loro. Ma non in un ruolo brigantesco clamoroso o latitante. Ma anzi in un ruolo minimale, da buon vecchio nonno che può dire «C'è un equivoco, un malinteso: io mi occupo soltanto di casette di legno di cui ci sarà gran bisogno per i padiglioni dell'Expo». Come san Giuseppe e come Geppetto, è solo un operoso lavoratore del legno. Vedranno i giudici, sarà l'inchiesta a mostrare, ma noi che non siamo giudici e che non dobbiamo contestare reati, siamo egualmente sbalorditi di fronte a un'evidenza cui non eravamo preparati: Greganti in tutti questi anni ha seguitato a frequentare il partito, a mangiare con i suoi dirigenti, vedersi a pranzo col sindaco, ad essere un venerato arredo di casa e dunque esse considerato - senza darlo troppo a vedere - un eroe. Chi ha letto i romanzi di LeCarré conosce per via letteraria questi silenziosi e grigi eroi di una guerra fredda che passava anche sui conti bancari, i trucchi contabili (nel caso italiano) delle cooperative, nelle contiguità dei piccoli affari. «Fabbricava casette di legno» può essere un ottimo titolo per riscoprire un operoso amico nel partito che ora è di Renzi. Il quale Renzi ha avuto ora la prova di aver ereditato, con l'ansiogeno presente e l'incerto futuro, anche tutto il passato che non passa mai, con optional di armadi e scheletri. Quegli arredi polverosi e tuttora in uso sono trattati con cura discreta: in fondo che cosa ha fatto, il povero «compagno G»? Rubava forse per le sue amanti? No. Rubava per farsi la barca e la villa? No. Spostava tutt'al più risorse per la causa, magari facendo saltare i bulloni della legalità. Lo hanno sospeso cautelativamente dalla sezione di Borgo San Donato. Finalmente una linea dura ma garantista.

Glielo hanno detto chiaramente: ora basta! Non puoi seguitare a venire qui per giocare a bocce come se niente fosse. E che diamine. Magari torna a giugno, quando la bufera sarà passata, come abbiamo fatto sempre. Ah, il calvinismo di un partito geneticamente superiore.

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