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La notizia non è nuova, però mi corre l'obbligo di ricordarla in estrema sintesi per chiedere ai lettori la loro opinione. Un medico di Fino Mornasco (Como), Mario Tagliabue, è stato licenziato (poi il provvedimento è rientrato) perché si rifiutava di usare il computer nell'esercizio della professione: dottore di famiglia con 1.500 pazienti, il massimo consentito dalle norme sanitarie. La lettera di benservito, inviata dall'Asl, è stata affissa dal destinatario sulla porta dello studio, in modo che la «clientela» ne prendesse visione. Alla fine il neodisoccupato ha ceduto alle pressioni di tanta gente che si fida di lui e ha accettato, obtorto collo, di smanettare sul pc. Cosicché l'esonero è stato revocato.
Meno male. La storia merita comunque una chiosa perché propone un tema che di questi tempi non riguarda soltanto il medico lombardo ma anche molte persone che hanno serie difficoltà ad adattarsi alle nuove tecnologie. La cui (...)
(...) utilità è fuori discussione: esse semplificano il lavoro, accelerano il disbrigo di qualsiasi pratica, offrono all'istante informazioni. Ma bisogna saperle usare correttamente e con disinvoltura altrimenti si finisce nei pasticci. Va da sé che i giovani e i giovanissimi, in particolare, davanti alle «macchinette» elettroniche di ogni genere sono a proprio agio, si eccitano addirittura, ne scoprono le enormi potenzialità in pochi minuti e le sfruttano al meglio, spesso divertendosi, al punto che parecchi vivono davanti allo schermo anche durante le ore di ricreazione.
Insomma sono computer dipendenti. I fanatici del Web mi danno sui nervi, forse perché un po' li invidio. Se si accorgono che sono imbranato anche nel pigiare un tasto, mi guardano con sorrisini di compatimento che attirano sberle. Ma a volte ho il sospetto che abbiano ragione nel considerarmi come io consideravo coloro i quali, quarant'anni fa, non erano in grado di consultare l'orario delle ferrovie: dei poveri analfabeti destinati a essere tagliati fuori dal consorzio civile, incapaci di partecipare attivamente agli innumerevoli esercizi imposti agli umani dal progresso. È sempre stato così: o rimani al passo con i primi o presto farai compagnia agli ultimi, gli emarginati, quelli che non contano nulla.
Di qui l'esigenza, per chi non voglia essere assorbito dal gruppo degli esclusi e non intenda scadere come una mozzarella, di aggiornarsi. E oggi, per aggiornarti, o ti assoggetti alle regole del cervello elettronico o ti rassegni alla rottamazione del tuo, preparandoti a osservare da spettatore l'esistenza degli altri senza capirci un tubo. Non è una rosea prospettiva. Ciò detto, occorre però stare attenti a non cadere nell'errore opposto, i cui pericoli sono stati bene enucleati dal dottor Tagliabue nel motivare la propria avversione al pc quale strumento obbligatorio nella professione medica.
Egli sostiene giustamente che il suo mestiere è quello di fare diagnosi e di trovare terapie opportune. Aggiunge: il paziente va studiato, visitato, interrogato. Tutto ciò comporta un rapporto umano, che non può essere disturbato da un terzo incomodo ovvero il computer, che costringe il dottore a distrarsi dal malato e a concentrarsi sul monitor per non sbagliare. Tagliabue a mio avviso ha centrato il problema. O palpi e ausculti il paziente o ti dedichi alla tastiera. Le due cose insieme non si conciliano. In effetti, molti suoi colleghi che, invece di palpare e auscultare, seguono ciò che che comanda il videoterminale come se fosse il loro unico dio, diventano dei burocrati, distributori di ricette e compilatori di moduli necessari per varie analisi cliniche e di laboratorio.
Dopo cinque anni di lavoro svolto meccanicamente, essi non sono più capaci di distinguere una bronchite dalla dissenteria, però hanno acquisito una tale dimestichezza col mezzo elettronico da suscitare l'ammirazione dei dirigenti Asl. I quali hanno la fissa del risparmio e non si accorgono che se il medico non fa più il medico, ma l'operatore tecnico alla tastiera, i costi salgono paurosamente: meno visite e più analisi (spesso inutili, tutte carissime) significano un aumento esponenziale delle spese.
Nel mio piccolo, quando scrivo un articolo - bello o brutto che sia - sono impegnato al massimo per limitare le brutte figure: ma il mio sforzo non è quello tipico del dattilografo, cercare cioè di rispettare le leggi grafiche, bensì quello di esprimere con chiarezza alcuni concetti, badando magari a non annoiare il lettore.
Ora mi domando: non ci sarà il rischio che l'adorazione della macchina alla fine prevalga sugli scopi che attraverso di essa si vorrebbero ottenere, per cui nei prossimi anni, forse già domani, l'umanità si dividerà in due categorie di stupidi: noi analfabeti elettronici e le generazioni successive schiave (non padrone) del computer? In attesa di una verifica, poiché nelle guerre bisogna schierarsi di qua o di là, mi alleo col dottor Tagliabue cui auguro di vincere. E voi amici, come la pensate?
di Vittorio Feltri
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