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La «confederazione dei moderati» è la soluzione. E i centristi stiano attenti a Bersani

La «confederazione dei moderati» è la soluzione. E i centristi stiano attenti a Bersani

diNon è affatto detto che siccome la società italiana e il sistema politico sono «impazziti», allora il Pdl debba uniformarsi a tutto ciò, impazzendo a sua volta con polemiche interne e esterne sopra le righe.
Negli anni Duemila la dialettica politica è andata incontro ad una devastazione per la crisi finanziaria internazionale e per ciò che è avvenuto in Italia, cioè la liquidazione del governo legittimamente eletto nel 2008 ricorrendo a tutti i mezzi leciti e illeciti. A complicare in modo diverso le cose, sono intervenuti provvedimenti di rigore del governo Monti. In una situazione di reale emergenza Monti ha fatto un’operazione di lacrime e sangue. Questa scelta, imposta dalla linea Merkel-Sarkozy, si è intrecciata con altri due elementi, entrambi destabilizzanti: una linea durissima di Equitalia che dalla lotta all’evasione fiscale è passata di fatto alla lotta al singolo contribuente e la incredibile asimmetria costituita da uno Stato velocissimo come esattore fiscale, e invece lentissimo come pagatore. Tutto ciò ha rapidamente creato una situazione economico-sociale psicologica e politica insostenibile: la luna di miele di Monti è finita. Il Pdl è stato sottoposto alle pressioni di due linee estreme: da un lato l’accettazione totale di tutto ciò che proponeva il governo, dall’altra la contrapposta richiesta di una crisi di governo e di elezioni anticipate. Ora questa schizofrenia ha corso il rischio di dilaniare il Pdl. Per avviare il superamento di questa situazione ci ha paradossalmente aiutato anche il Pd. Nella vicenda dell’articolo 18 e della riforma del mercato del lavoro, il Pd ha rotto l’incantesimo secondo il quale i partiti che sostenevano il governo dovevano anche accettare perinde ac cadaver tutti i suoi provvedimenti. Il Pd ha contestato apertamente l’articolo 18 e sul mercato del lavoro si è aperta una dialettica al Senato con modifiche introdotte sia dal Pd che dal Pdl. A sua volta, Angelino Alfano ha aperto il confronto su precise questioni di merito, dall’Imu alla cosiddetta compensabilità per le imprese fra crediti nei confronti dello Stato e debiti nei confronti del fisco. Monti ha mostrato di non gradire troppo questo mutamento di metodologia, ma tant’è: Monti non può evitare di fare i conti con il Parlamento e con i partiti.
La crisi finanziaria internazionale non è finita e ciò è un fattore contrario a crisi di governo. Per altro verso, anche in seguito al risultato delle elezioni francesi, il governo Monti può e deve contestare la linea rigorista della Merkel, avanzare una serie di richieste (sul ruolo della Bce, sugli eurobond, sulle politiche per la crescita, sul condizionamento all’approvazione del fiscal compact). La conseguenza politica sta in ciò che in questi giorni hanno affermato Berlusconi e Alfano: né subalternità e passività, ma d’ora in avanti il Pdl approverà in Parlamento ciò che condivide e non accetterà ciò che ritiene sbagliato. Si tratta insieme di una scelta onesta e pragmatica, su una serie di sì (per esempio: sì alla progressiva eliminazione dell’Irap, sì al mantenimento della riforma Brunetta sulla pubblica amministrazione, sì all’Imu sulla prima casa solo per il 2012) e una serie di no (no alla ratifica del fiscal compact senza la contemporanea adozione di un piano per la crescita e per gli investimenti a livello europeo, no alla controriforma della Pa, no all’aumento dell’Iva): su questi nodi programmatici esiste una elaborazione assai precisa fatta da Renato Brunetta. A proposito del Pdl alcune osservazioni conclusive: diverse scelte sono state fatte in primo luogo dal presidente Berlusconi facendo il passo indietro e indicando Alfano come segretario del partito e come futuro premier, ferme rimanendo per questo la possibilità di primarie. Diversamente da Galan, infatti, non ritengo che quello che è avvenuto sul piano della struttura organizzativa sia negativo e di per sé la causa delle difficoltà elettorali. Invece a nostro avviso sono state quasi tutte di natura politica, a parte gli errori commessi qui e là nella scelta dei candidati. Non a caso esistono profonde differenze fra il Nord e il Sud a proposito dei risultati elettorali dei grillini e anche dello stesso risultato del Pdl. Nel Sud gli eletti non hanno abbandonato il territorio affidandosi solo al carisma del leader e agli strumenti mediatici, ma larga parte di essi è presente sul territorio: ciò ha dato a Grillo minori spazi. Dobbiamo contrastarlo facendo dal lato del governo politiche di crescita ed equità sociale e facendo del partito qualcosa di aperto, di gradevole per la gente. Questo approccio ci collega all’esigenza di andare oltre il Pdl non per smantellarlo, ma per farne parte di qualcosa più vasto, cioè di quella che è stata chiamata una «confederazione dei moderati».

I centristi devono fare i conti con un dato di fondo: c’è una scelta limpidamente bipolare di Bersani che per quello che lo riguarda aggrega tutta la sinistra per cui i centristi si verrebbero a trovare in una posizione subalterna in una coalizione molto spostata a sinistra.
*Presidente dei deputati Pdl

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