La destra vince in Europa, non in Italia. Passi il confine, sia verso la Francia sia verso l'Austria e poi l'Ungheria e vedi la destra grandeggiare. Torni in Italia e vedi il monocolore renziano. Come mai? La prima ragione è che la destra in Italia sconta vent'anni in cui è stata riconosciuta come forza governativa, aspirante al Partito popolare e al centro, subalterna a Berlusconi. Dunque non poteva raccogliere gli scontenti e rappresentare l'opposizione radicale a quest'Europa. Non lo chiamerò effetto Fini perché mi pare ingeneroso infierire su un leader, non più in campo, che ha grandi responsabilità, ma non è certo colpevole di tutto. Però gli anni di governo non hanno lasciato segni tangibili e positivi della presenza incisiva di una destra al potere.
La seconda ragione è che quando cadde il governo Berlusconi fu ben chiaro che un'epoca si era conclusa e bisognava partire subito per rifondare una destra nazionale, popolare e sociale, europea e anti Ue. Le sollecitazioni che partirono, come il progetto Itaca, non furono recepite dai capataz destri, ancora imbambolati dal travaglio e incarogniti tra loro. Fratelli d'Italia arrivò troppo tardi e non riuscì a recuperare le frange delle destre sparse. Sì, meglio tardi che mai, meglio poco che nulla. Oggi sarebbe bastato l'apporto de la Destra di Storace per superare il quorum. O, magari, sarebbe bastato perfino che la destra radicale non si fosse pronunciata in favore della Lega. Naturalmente il quorum alle europee è una piccola cosa, non ti cambia la vita avere tre eurodeputati, ma è importante in prospettiva: se vuoi votare per un partito i cui voti poi si sprecano, eviti di votarlo.
Il problema di fondo è che non si può pensare la destra solo in vista del voto: devi animare un mondo intorno, un'area viva, avere qualche fonte d'informazione dalla tua parte, devi far circolare idee, simboli, temi che lascino un segno; devi spendere le risorse che hai, come quella della Fondazione An, per costruire una rete, formare una classe dirigente. La Meloni ha raccolto simpatia, ha mostrato grinta, ma sembrava Titti il canarino tra grossi bestioni. E il suo populismo è assai più sobrio e temperato di quello urlato e demagogico che ha più successo. Sui temi dell'euro o sui migranti, per esempio, era troppo ragionevole per bucare il grossolano appetito dei populisti.
Marine Le Pen non viene dal nulla, come invece da noi Grillo. Viene da lontano, combatte da svariati anni la sua battaglia, ha un partito ormai strutturato e radicato nel territorio e ha ereditato e innovato un'antica battaglia paterna. Da noi, nel vuoto di quell'area, si è inserito Grillo, che ha pescato anche in quell'area di malcontento, salvo poi traghettare quei consensi in altra direzione, fino a inneggiare a Berlinguer. E più in piccolo si è inserito Salvini.
Insomma, è stata troppo debole la motivazione che spinge a votare a destra. Stavolta gli ipo-motivati sono andati a ingrossare il Partito del Non Voto. Che ha raggiunto una cifra record, impressionante: venticinque milioni. Nel derby tra speranza e disperazione, la speranza ha vinto perché la disperazione non è andata a votare. L'Italia non ha votato la fiducia in Renzi, ha votato la speranza in Renzi. È diverso. La frase chiave che ha determinato il successo di Renzi è «Non ci resta che sperare in Renzi», inteso come ultima carta per evitare il baratro. Anche a destra, nella destra moderata dico, ha fatto proseliti questa tesi. Facciamo il paragone col passato. Il consenso popolare al centro-destra era fondato sulla fiducia nel suo leader e sulla paura verso la sinistra. E il consenso al centro-sinistra era basato sull'odio verso Berlusconi e la fiducia nel Partito e nei suoi leader, come Prodi o Veltroni. Adesso la fiducia è scomparsa, la paura non la incute il Nemico politico ma il Mostro freddo (l'eurocrazia, il fisco, la crisi) e l'odio un tempo concentrato su Berlusconi si è spalmato in un diffuso rancore sociale. Tanta opposizione ha preferito non andare a votare, anche quella di destra.
Sul piano europeo, la stragrande maggioranza degli europei ha voltato le spalle all'Unione. Non andando a votare, innanzitutto; ben oltre la metà dell'elettorato. O votando contro quest'Europa, con Marine Le Pen e coi movimenti nazionali e popolari, antieuro e anti Ue. Da noi invece, era troppo presto per bocciare Renzi, neanche tre mesi al governo, è ancora in garanzia. Ha il carisma della verginità. Dalle urne non è uscito un nuovo bipolarismo ma, a fronte del successo di Renzi - dico Renzi non il Pd -, non c'è un antagonista delineato. L'occasione storica per Grillo sembra passata e il centro-destra è tutto da reinventare. Il futuro ha per metà la faccia di Matteo. L'altra metà è da costruire. In quell'altra metà c'è la destra che deve ricominciare daccapo. Ma deve prima decidersi su una cosa: se la sua scelta prioritaria sia stare dentro o fuori le mura (semi-crollate) del centro-destra. Se ballare da sola o tornare a ricostruire la vecchia casa di centro-destra.
Col senno di ora e la Senna di oggi, direi più giusta la prima, ma francamente non so se i frantumi feriti della destra presente siano in grado di partire per un'impresa così ardita. Là cannoneggia la Marine, qui a malapena la fanteria.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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