Milano - Un distributore automatico di documenti, una miniera di informazioni riservate cui poter attingere liberamente: questi sono diventati per la Procura di Milano gli archivi della Lega Nord, dopo l’incontro «di cortesia» tra il procuratore Edmondo Bruti Liberati e i nuovi vertici del Carroccio, guidati dal «triumviro» Roberto Maroni. L’accordo - benedetto da Bruti e poi ufficializzato dal suo «vice» Alfredo Robledo - prevede che la Procura eviti alla sede di via Bellerio l’onta di nuove irruzioni, come quella avvenuta all’alba di martedì scorso. In cambio, i capi del Carroccio si sono impegnati a soddisfare senza perdere tempo e senza fare i furbi ogni nuova richiesta di documenti proveniente dalla Procura milanese.
È un accordo significativo, come significativa è stata la decisione di Bruti di ricevere Maroni: un gesto non scontato, e che ha di fatto accreditato l’ex ministro degli Interni come portavoce di una effettiva discontinuità rispetto alla gestione Bossi. Il messaggio della Procura è chiaro: per noi la Lega è una vittima di quanto è accaduto. Le operazioni di investimento all’estero e l’allegra gestione della cassa a favore di Bossi e del suo entourage hanno di fatto depauperato un bene che apparteneva a tutti gli iscritti del partito. E nel processo che prima o poi si andrà a celebrare, la «nuova» Lega avrà diritto di costituirsi parte civile.
È una linea non semplice, quella che seguono i pm milanesi. Perché (e se ne è discusso a lungo in Procura) il più rilevante tra gli episodi emersi finora, il trasferimento in Tanzania di 4,5 milioni di euro, si è concluso col rientro dei soldi nelle casse leghiste. Si può ugualmente ipotizzare il reato di appropriazione indebita? Sì, hanno risposto infine Robledo e i suoi pm, Paolo Filippini e Roberto Pellicano. Anche perché il rientro dei soldi avvenne solo grazie all’iniziativa della banca cipro-tanzanese Fbme, che - spaventata dall’arrivo di quel malloppo privo di giustificazioni - decise di restituirli al mittente. Il reato, quindi, è avvenuto.
Che si trattasse per intero di soldi della Lega, d’altronde, la Procura milanese non ne dubita. A differenza dei loro colleghi di Reggio Calabria, che sembrano sospettare commistioni nell’operazione Tanzania tra fondi del Carroccio e della ’ndrangheta, i pm meneghini partono da un dato di fatto certo: i soldi partono dal conto intestato alla Lega presso la Banca Aletti, e lì rientrano dopo l’esplosione dello scandalo.
Ma concedere alla Lega di sedere sul banco delle vittime non vuol dire, per la Procura di Milano, rinunciare a scavare fino in fondo su quanto avvenuto in questi anni nella gestione dei fondi del Carroccio. Tanto che la caccia ai conti correnti riguarda non solo quelli intestati al cassiere Belsito e al suo predecessore Balocchi, ma anche quelli intestati in tutta Italia alla Lega Nord e alle sue articolazioni territoriali, per verificare non solo come i soldi sono stati spesi ma anche tutte le voci in entrata. Insomma, se vorrà uscire a testa alta e sventolando la ramazza da questa bufera, la Lega dovrà accettare di buon grado un controllo praticamente a tappeto della sua storia interna di questi anni.
E dovrà accettare anche che si scavi senza riguardi sui suoi dirigenti di ieri e di oggi, compreso il «triumviro» Roberto Calderoli, il cui nome (a volte accorciato in «Cald») emerge dalle intercettazioni come destinatario di soldi. E che risulta legato da un rapporto privilegiato a Francesco Belsito, il tesoriere espulso l’altro ieri dalla Lega Nord. Una parte di questo rapporto si è svolto alla luce del sole, tanto che Belsito ha lavorato fianco a fianco con Calderoli quando era ministro.
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