Così la Consulta si è smarcata dalla linea indicata dal Colle

I giudici hanno cancellato il Porcellum ma hanno disobbedito alla sinistra e al Quirinale che volevano il ritorno al Mattarellum. Il pressing di Grillo

Il palazzo della Consulta a Roma, sede della Corte Costituzionale
Il palazzo della Consulta a Roma, sede della Corte Costituzionale

Roma - Il giorno dopo la batosta della Corte costituzionale al Porcellum, si cerca di capire qualcosa di più sugli effetti della sentenza che ha cancellato dalla legge elettorale del 2005 il premio di maggioranza e le liste bloccate. E su come sia maturata la decisione nel chiuso della camera di consiglio.
Chi ha vinto e chi ha perso questa partita? Tra i giudici costituzionali più vicini al centrodestra sembra ci sia sorpresa e malumore per le reazioni negative venute proprio da quella parte politica. Il verdetto, infatti, è ritenuto da loro il migliore possibile: quello che impedisce ad una minoranza politica (che potrebbe essere quella renziana) di governare con una percentuale di voti troppo bassa.
In camera di consiglio sarebbe stato sventato il tentativo dell'altro gruppo di giudici, di sinistra e vicini al Colle, che voleva nella sentenza un riferimento al ritorno del vecchio e farraginoso Mattarellum. Secondo il principio della «reviviscenza» di norme abrogate, con tutti i dubbi giuridici che si porta dietro. Alla fine, questo fronte è uscito sconfitto dal voto che ha diviso i Quindici: 7 a 8.
Così, il sistema cui ha dato il nome il leghista Roberto Calderoli, quello che l'ha definito «una porcata», non è defunto del tutto ma sopravvive, malgrado le due amputazioni, come un proporzionale puro con soglie d'accesso. E la trattativa finale ha riguardato il riferimento, anche nel comunicato stampa, alla necessità delle preferenze, almeno una, per garantire all'elettore il diritto di scegliere un candidato. Preferenze che nel sistema cui ha dato il nome Sergio Mattarella (uno dei giudici che ha deciso mercoledì) non ci sono.
La linea indicata dal Colle sarebbe dunque stata sconfitta nel Palazzo della Consulta. Eppure, raccontano che uno dei protagonisti di questa manovra pro-Mattarellum, il neo giudice costituzionale Giuliano Amato, sia stato uno dei primi a fare le telefonate che contano per annunciare il verdetto. Probabile che la prima sia stata a Re Giorgio, ma per quella successiva ci sono testimoni: raccontano di come il ministro per le Riforme Gaetano Quagliariello sia stato informato proprio da Amato. Accogliendo il verdetto come una vittoria, un augurio di lunga vita a governo e parlamento. Che si siano stappate bottiglie di champagne si può solo ipotizzare. Altri giudici costituzionali schierati a sinistra avrebbero informato il segretario in pectore del Pd Matteo Renzi, che come si sa ha accolto invece malissimo la notizia «sorprendente».
Quanto a Beppe Grillo, che continua a invocare il Mattarellum ignorando che la questione è oramai chiusa, sembra che le sue veementi accuse ai giudici delle leggi, alla vigilia della decisione («La Consulta ha la velocità di un gasteropodo»), abbiano avuto il loro peso nell'evitare rinvii o slittamenti dell'esame. È bastata la voce di un possibile ritardo fino all'udienza del 14 gennaio, per dare più tempo al parlamento, e gli attacchi dal M5S e non solo sono esplosi. Così, il presidente Gaetano Silvestri si sarebbe imposto perché si arrivasse alla sentenza nel giorno previsto.
Quella sentenza impone al Parlamento un intervento legislativo e ora Camera e Senato si litigano la riforma che per anni non hanno fatto. È significativo che la Corte abbia voluto sottolineare un principio che doveva apparire ovvio: le Camere possono ora varare una nuova legge elettorale, seguendo i dettami della politica. «Non necessariamente - spiega un giudice costituzionale - nella linea scelta dalla sentenza. Si potrebbe anche scegliere un sistema diverso, ma rispettoso dei principi costituzionali».

La Consulta si aspettava critiche per una possibile ingerenza nel potere legislativo e ha voluto mettere le mani avanti. Il resto si saprà nelle motivazioni cui deve lavorare «nelle prossime settimane» il relatore Giuseppe Tesauro.

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