È ipotizzabile che l’insieme dei mega-prestiti elargiti dalla Bce (Banca Centrale Europea) e dall’Fmi (Fondo Monetario Internazionale) alla Grecia e ad altri Stati europei si configuri come un riciclaggio di denaro virtuale, più prosaicamente di titoli spazzatura figli della speculazione finanziaria, in cambio di denaro vero corrispondente ai beni realmente prodotti? È possibile che comunque si tratti di un giro di denaro che dalla Bce e dall’Fmi venga formalmente affidato agli Stati debitori ma sostanzialmente ritorna immediatamente agli enti erogatori attraverso le banche che hanno fatto credito agli Stati ma che sono a loro volta indebitate con la Bce e con l’Fmi? Ed è per questa ragione che i poteri finanziari forti, quelli che determinano attraverso le oscillazioni dello spread e dei titoli azionari il nostro presente e forse il nostro futuro, non credono più di tanto alla tenuta della Grecia e in prospettiva dell’euro stesso? Infine è questo il contesto che di fatto si traduce nello svuotamento della democrazia e nell’avvento della dittatura finanziaria?
È quanto si desume dall’editoriale di Guido Rossi, ex-presidente di Consob, Montedison e Telecom, che sul Sole 24ore di ieri ha scritto: «Il cosiddetto salvataggio, che non elimina tuttavia le dichiarazioni di default, è stato condotto con lo scopo dichiarato di tutelare, nei limiti del possibile, i creditori ben più che i cittadini greci. Creditori che, anche attraverso la speculazione ampiamente adottata con le assicurazioni stipulate sul default greco, mediante quei singolari derivati chiamati credit default swaps, per il momento, pur nei tagli all’ammontare dei crediti, hanno goduto di una sorta di sgangherata par condicio creditorum. E questa, ai danni di una cittadinanza, in pericolo di caduta oltre che economica, di democrazia». Rossi, che è non è un militante dei Centri sociali ostile al mondo della finanza e alla globalizzazione economica, sottolinea che lo «stato di eccezione» imposto in Occidente rappresenta «un grave pericolo della democrazia e dei diritti dell’uomo».
Rossi si limita ad accennare al fatto che la speculazione finanziaria operata dalle banche ha un peso significativo nella determinazione del debito degli Stati. Parliamo dei cosiddetti «titoli derivati», il cui valore deriva da un altro titolo o bene oggetto di speculazione finanziaria, che ammontano a 787mila miliardi di dollari, cioè circa 12 volte il Pil (Prodotto interno lordo) di tutti i Paesi del mondo, pari a 66mila miliardi di dollari. Questa massa di denaro virtuale è come un tumore inestirpabile in seno al sistema finanziario mondiale, viene scambiata quasi tutta all’esterno dei mercati finanziari regolamentati e all’interno di un «sistema bancario ombra» che è più consistente del sistema bancario regolare.
Se dovessimo obiettivamente raffigurare questa realtà rapportandola alla legge, dovremmo dire che si tratta di una attività decisamente illegale al pari di quella svolta dalle organizzazioni criminali dedite al riciclaggio del denaro sporco. In uno stato di diritto le organizzazioni criminali vengono perseguite dalla giustizia e il denaro sporco viene confiscato anche se riciclato in investimenti immobili. Nel caso delle banche invece, dopo aver commesso dei crimini finanziari drogando i mercati con titoli spazzatura culminati nel tracollo della banca d’affari americana Lehman Brothers nel 2008, sono state premiate ottenendo dalla Federal Reserve 7.700 miliardi di dollari tra il 2007 e il 2011 e dalla Bce 2mila miliardi di dollari nello stesso biennio. Se consideriamo i costi umani, questa guerra finanziaria globalizzata ha causato la perdita del posto di lavoro a 30 milioni di persone nel mondo.
Ma perché nonostante questo fiume di denaro regalato alle banche permane la sfiducia nel recupero economico e nel rilancio dello sviluppo dei Paesi debitori? Il fatto che le stesse banche beneficiarie di soldi pubblici regalati non eroghino finanziamenti alle imprese fino a determinarne la morte, è frutto dell’incertezza generale o è invece una scelta deliberata per scardinare il nostro sistema economico che si regge al 97% sulle micro, piccole e medie imprese e consentire la sopravvivenza dei pochi poteri finanziari forti a cui debbono tutto?
Se ci si mette dalla parte degli imprenditori che tutte le mattine si rimboccano le maniche, lavorano e producono e dalla parte dei dipendenti ormai rassegnati al precariato a vita, dobbiamo prendere atto che oggi non hanno prospettive a dispetto del calo dello spread e della fiducia di Monti sul conseguimento del pareggio di bilancio nel 2013.
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